Graham lo conoscevi da poco. Erano passati solo un paio di mesi da quando lo avevi incontrato la prima volta a casa di un amico comune. Era la persona più anziana nella stanza con una bella barba sale e pepe. Parlava poco, ma quando lo faceva tutti si fermavano per ascoltare la sua bassa voce baritonale mentre parole scelte con cura gli rotolavano fuori dalle labbra. Avevi sempre desiderato avere amici maschi più grandi di te e in seguito, incoraggiato da un amico comune, hai fatto in modo di rivederlo.
Ti ha invitato nel suo appartamento. Ha cucinato ed entrambi avete mangiato e bevuto e chiacchierato di scrittura, politica, attivismo. Lui ha parlato di un progetto di scrittura con cui stava avendo qualche difficoltà. Poi tu gli hai raccontato che stavi pensando di abbandonare la strada della scrittura a tempo pieno, visto che diventava sempre più difficile pagare le bollette.
Una settimana dopo la cena ti ha chiamato. Hai risposto alla telefonata, allegro.
“Ehi Graham!”. E in cambio ti è arrivata una risposta giù di tono. Aveva visto la tua email, ti ha detto. Se ne sarebbe occupato. Ma adesso doveva prendere un aereo. E poi è scoppiato a piangere. “Mio figlio”, ha detto. “Mio figlio si è ucciso ieri notte”. E poi ha cominciato a chiedere scusa, assicurandoti che avrebbe dato un’occhiata alla tua email al suo rientro. Hai protestato, ribadendo che non c’era niente di più importante che affrontare questo tragico incidente. Il fatto che le persone chiedano scusa quando scoppiano a piangere in pubblico (una cosa molto più comune in occidente rispetto alla Nigeria, dove sei nato), ti sembrava assurdo.
Cieli ancora più grigi
Un’ondata di tristezza ti si è riversata addosso, tutto è rallentato fino a fermarsi quasi del tutto. I cieli di Berlino, già grigi, si sono fatti ancora più grigi. Suo figlio era a chilometri di distanza, ma un uomo che conoscevi e con cui avevi da poco cenato aveva perso un giovane figlio. Erano passati tre anni da quando ti eri trovato così vicino alla morte a Berlino. Due anni dopo che ti eri trasferito a Berlino una donna del tuo quartiere, che si distingueva dalle altre perché ti salutava sempre, era morta di cancro.
Ancora oggi non conosci il suo cognome. Non c’erano manifesti disseminati in giro per il quartiere ad annunciarne la morte. I suoi vicini non si sono riuniti a casa sua addolorati. Nessun annuncio di funerali. Lei era uscita dal tuo quartiere e dal mondo in modo silenzioso e discreto, come un granello di zucchero a velo che cade da una ciambella.
A Berlino la morte era stata rimossa dallo sguardo pubblico, cancellata dalle conversazioni educate
Avevi continuato a pensare a lei per diversi giorni. Ti era sempre apparsa in ottima forma, vivace, aveva sempre la battuta pronta e ti faceva l’occhiolino. La vedevi quando veniva a prendere il bambino alla scuola materna vicino al tuo appartamento. E poi ti sei reso conto che in due anni non avevi saputo di nessuna persona morta in Germania. Ovvio, in città c’erano persone che morivano tutti i giorni. Ma tu non le vedevi. La morte era stata rimossa dallo sguardo pubblico, cancellata dalle conversazioni educate.
Questa era una società con la vita tra le mani e non era macchiata dal caos che si genera quando qualcuno muore o è moribondo. Il lutto era una cosa privata quanto andare al gabinetto e il morire era stato reso invisibile, esternalizzato in istituti speciali e limitato a familiari molto stretti. La morte e il morire erano stati espulsi dal mondo dei vivi. Se questo fosse accaduto in Nigeria, pensavi, avrei saputo che aveva il cancro, sarei andato a trovarla, avrei partecipato al suo funerale; essere un vicino sarebbe bastato a giustificare la tua presenza e le tue lacrime al suo funerale.
Un giorno sì e uno no
In Nigeria, dove sei vissuto tutta la vita prima di trasferirti in Germania, vedevi la morte un giorno sì e uno no. Osservavi i dolorosi e minuscoli dettagli di ogni aspetto del morire. Vedevi persone devastate dalla malattia finché non se ne andavano, vedevi persone sospettate di aver rubato picchiate selvaggiamente per strada, a volte fino alla morte, vedevi motociclisti senza casco morire in incidenti, vedevi persone massacrate durante disordini a sfondo religioso, corpi maciullati in scontri frontali o persone che sembravano in salute afflosciarsi e morire.
Per non parlare delle persone che si ammalavano e morivano di qualsiasi cosa, dalla malaria a ogni genere di “malattia breve”, un’espressione usata dai nigeriani per indicare il breve lasso di tempo tra una qualche misteriosa malattia e la morte.
Quando eri piccolo vivevi in una comunità a maggioranza musulmana che aveva una piccola isola cristiana in cui accadeva ogni genere di cose proibite: si distillavano gli alcolici locali, si vendevano e si consumavano maiali e cani. Di conseguenza i maiali allevati da questa comunità di cristiani spesso vagavano nei vicini quartieri musulmani. Tutte le volte che succedeva, i bambini urlavano “Alade! Alade!” annunciando a tutti l’avvistamento di un maiale. Il maiale in questione veniva scacciato e, se catturato, ucciso a botte.
La prima volta che tuo fratello più piccolo ha visto un cadavere aveva più o meno dieci anni ed era in un’auto che attraversava la città appena devastata da una sommossa a sfondo religioso. Ha visto una persona con il cranio aperto e l’ha indicato prima che qualcuno nell’auto, non ricordi chi, riuscisse a coprirgli gli occhi. A volte cerchi di ricordare la prima volta in cui tu hai visto un cadavere. Non riesci a ricordare un periodo della tua vita in cui non hai visto persone morte o moribonde.
Sentirsi a disagio
Quando è morta la donna nel tuo quartiere a Berlino, hai cercato di sviscerare le ragioni del tuo disagio. Per due anni avevi vissuto in un sogno, in cui le persone non muoiono, in cui le persone ammalate e quelle che hanno incidenti finiscono al sicuro in belle ambulanze e le uniche persone costrette ad avere a che fare con i cadaveri sono professionisti formati per questo.
Quando tuo fratello non respirava dopo che hai trascinato il suo corpo fuori da una piscina in Nigeria, nel 2003, non c’era un numero di telefono da chiamare, né ambulanze in attesa, né paramedici e poliziotti pronti a isolare la scena dell’incidente e a risparmiare al pubblico la vista del suo freddo corpo senza vita. Hai dovuto implorare uno sconosciuto che si trovava in piscina di portarvi in ospedale con la sua auto. L’autista era giovane e all’inizio riluttante, ma quando ha visto le lacrime nei tuoi occhi ha preso le chiavi e ti ha detto di seguirlo. Ai funerali c’erano tutti i vicini, tutti i membri della chiesa, tutti i suoi amici e i tuoi e quelli dei tuoi genitori, tutti i parenti, fino a quando la casa era talmente piena di gente che le persone dovevano andar via per fare spazio agli altri.
La prima volta che hai ucciso un animale che non era un insetto, è stato per mangiare. Tua madre aveva portato a casa un pollo vivo come faceva almeno una settimana sì e una no. Non si fidava dei polli morti che giacevano a mucchi al mercato. Si fidava ancora meno dei polli surgelati.
Era importante che la macellazione avvenisse in stile halal, così comprava i polli da un allevamento nel quartiere e li portava a casa. Tu l’avevi vista farlo, ma adesso eri grande abbastanza da farlo da solo. Prima ti eri limitato ad aiutarla a spennarlo e a pulire le interiora. Quella volta ti ha permesso di puntargli un coltello al collo. Il coltello doveva essere affilato perché lei non voleva che il pollo soffrisse. Niente del pollo andava sprecato, né la testa, né le zampe, nemmeno gli intestini.
Insensibili da morire
Quando un vegano ha chiesto, in una stanza in cui ti trovavi anche tu in Germania, se le persone mangerebbero la carne dovendo uccidere gli animali con le loro mani, tu sei scoppiato a ridere. Dopo qualche secondo hai capito che eri l’unico a ridere. Ti sei reso conto che nessuno degli altri carnivori aveva mai ucciso un animale né visto qualcun altro farlo.
Nei successivi minuti ti sei ritrovato a spiegare con difficoltà che la tua non era la risata di un matto assetato di sangue e che in realtà uccidere gli animali per mangiarli non significa attribuire loro meno valore né ti induce a non mangiare più carne. In particolare, essendo cresciuto in un periodo e in un paese in cui non c’erano forme di allevamento disumano di carne, apprezzavi ogni singola parte dell’animale che stava morendo per darci di che nutrirci. Non pensi di essere riuscito a convincere nessuno.
Negli ultimi due anni la pandemia ha ucciso milioni di persone e ci ha gettato la morte in faccia, ma per colpa del virus si muore nel più totale isolamento
Mentre gli anni trascorrevano assieme a te in Europa, sei diventato sempre meno insensibile alla morte. Adesso la maggior parte dei decessi di cui vieni a sapere riguardano persone che conosci in Nigeria, nella maggior parte dei casi annunciati via WhatsApp da tua sorella che non tralascia mai di dirti se qualcuno è in fin di vita o morto.
Quando i suoi messaggi spuntano sul tuo schermo, ti prepari prima di aprirli. Non ti avverte mai prima di mandarti foto di persone in ospedale o dei buchi di proiettile nelle pareti di casa sua quando i rapitori hanno tentato di entrare per prendere lei e i suoi figli. Non sai quando o quanto spesso ti racconterà che questa o quella persona sono morte.
Negli ultimi due anni una pandemia globale che ha ucciso milioni di persone in tutto il mondo ci ha gettato la morte in faccia. Purtroppo, soprattutto in occidente, questo non ha portato ad alcuna forma di salutare lutto collettivo.
Peggio ancora, la natura della malattia è tale che la morte a causa del virus avviene nel più totale isolamento. Le persone muoiono senza che i familiari possano stringere loro la mano, senza che i figli o i nipoti possano salutarli con un bacio.
Andarsene da soli
Il lutto è un’emozione difficile e richiede tempo per poter essere affrontata. E diventa ancora più difficile quando siamo costretti a farlo da soli, lontani da occhi che non vogliono essere costretti a pensare alla mortalità.
Immagini costantemente un mondo lontano da entrambi gli estremi, non un mondo asettico, in cui la morte e il morire sono del tutto dissociati dai vivi, ma nemmeno un mondo in cui la morte e il morire sono talmente ipervisibili che la gente diventa insensibile alla violenza e perde il senso del valore della vita umana.
Immagini un mondo in cui possiamo sederci in uno spazio condiviso con la morte, in cui possiamo contemplare la vita mentre muore, in cui il processo del morire non deve implicare l’esclusione dalla comunità, in cui il lutto pubblico è un processo salutare, se non addirittura rinvigorente, in cui le persone possono contemplare collettivamente la mortalità.
Quando accade una tragedia collettiva o muore una persona famosa non pensi solo al lutto pubblico, ma al diritto di piangere in pubblico una perdita privata; pensi a società che non siano solo voyeuristiche o sentimentali, ma consentano l’espressione pubblica del dolore.
In Nigeria e in posti simili sai che questo potrà accadere solo se il governo migliorerà e se la sicurezza verrà presa sul serio. Perché a ogni forma di ingiustizia, si tratti di ingiustizia sociale, ingiustizia legale, ingiustizia economica o ingiustizia politica, si crea un terreno fertile per la giustizia fai da te, per le proteste violente e per reati opportunistici e cruenti.
Con la mancanza di sviluppo e con i politici che rubano risorse che dovrebbero essere usate per costruire strade e ospedali migliori, le persone continueranno a morire senza motivo in incidenti che potrebbero essere prevenuti o per ferite che potrebbero essere curate. Finché questo non accadrà, la morte continuerà a essere ipervisibile, generando una società sempre più insensibile e indifferente alla sofferenza, alla morte e al morire.
In paesi come la Germania, le culture devono evolversi per creare uno spazio sano in cui poter parlare del dolore privato e della morte. Nessuno dovrebbe scusarsi se scoppia a piangere in pubblico quando gli tornano in mente ricordi traumatici. Invece di distogliere lo sguardo con imbarazzo, dovremmo imparare a sederci accanto alla morte, e guardarla negli occhi.
Mentre Graham si mette in viaggio per trascorrere del tempo con la sua famiglia e seppellire suo figlio, pensi alla natura imponderabile del dolore privato. Alla morte che è parte della vita e al processo del vivere che è anche il processo del morire. Pensi a Graham e alla fiducia immensa che implica la condivisione del proprio dolore in pubblico.
Non dai per scontato il fatto che sia scoppiato a piangere al telefono con te. Non ti fa sentire in imbarazzo. E quando tornerà dal funerale, tu sarai lì. Non ci saranno limiti oltre i quali diventerà difficile o imbarazzante. Se sarà taciturno, perso nelle sue tristi fantasticherie, tu starai lì con lui. Se vorrà piangere ancora, tu starai lì con lui, contemplerai la mortalità con lui, non ti crogiolerai nell’autocommiserazione, ma terrai la morte nella tazza della vita e ne berrai, e dopo forse troverai anche qualcosa di cui ridere.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito su The Africa Report.
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