Un testo è una strana creatura. Segno inorganico e inerte, prende vita quando entra in relazione con chi lo legge. L’opera letteraria non è co-creata dal lettore, come sostenevano Hans Robert Jauss e Umberto Eco. È un virus imprevedibile che contamina il lettore e lo fa mutare, come suggeriva William Burroughs. Davanti a un’opera d’arte, il lettore è un “Brundlefly”, lo scienziato diventato mosca nel film di Cronenberg, e non un giocatore assiduo che aggiunge l’ultimo pezzo di un puzzle immaginato dall’autore. La lettura non è co-creazione. È mutazione.

In quest’ottica pochi testi sono mutati e hanno provocato mutazioni quanto quelli di Virginia Woolf. La sua opera, più di qualsiasi altra (a eccezione di quelle di Shakespeare o Proust) è stata oggetto di movimenti ermeneutici successivi e a volte contraddittori. Fino alla pubblicazione di Orlando, nel 1928, la sua opera era considerata come sperimentale e difficilmente accessibile, e sia il genere sia la sessualità di Virginia Woolf erano messi tra parentesi. Virginia Woolf era lettə e commentatə meno seriamente rispetto ai suoi colleghi maschi, ma nessuno attribuiva la difficoltà dei suoi testi alla sua condizione di genere o sessualità.

Questa ermeneutica patriarcale e maschilista camuffata da universalismo ha dominato la lettura di Virginia Woolf fino quasi alla sua morte. Poi, dopo gli anni settanta, una revisione femminista della storia della letteratura ha messo in primo piano il suo corpo di donna (un corpo che Virginia non è mai arrivatə a considerare come unicamente femminile), la sua cosiddetta relazione straordinaria “amorosa” (eterosessuale) con Leonard Woolf e il suo coinvolgimento nel movimento femminista con la sua amica compositrice Ethel Smyth, dimenticando però che Smyth era stata anche la sua ultima amante.

Virginia Woolf, che aveva sempre esitato a identificarsi non soltanto come femminista ma anche come donna, è diventata la quintessenza della scrittura femminile. Negli anni novanta lo sviluppo dei queer studies nei paesi anglofoni ha permesso di leggere l’opera di Woolf in una prospettiva lesbica, sottolineando l’importanza delle sue relazioni con le donne (Violet Dickinson o Smyth) e al contempo ripubblicando il suo carteggio con Vita Sackville-West, erigendolo a monumento della scrittura epistolare amorosa.

Fuori dagli schemi
Anche se queste letture femministe e lesbiche dell’opera di Virginia Woolf sono state necessarie e rivelatrici, rischiano di rinchiuderla in una determinazione essenzialista poco woolfiana. Ossessionate dal desiderio di rappresentare una Virginia Woolf più donna di quanto si sia mai sentita o più lesbica di quanto avesse voluto, queste letture non sono riuscite a mantenere la promessa di libertà e dissoluzione della centralità (potremmo dire della “normalità”) cognitiva del narratore contenuta nella sua scrittura.

Davanti a tutte queste ermeneutiche identitarie, eredi della tassonomia patriarco-coloniale della modernità, vorrei leggere Virginia Woolf come unə deə primə autorə non binari della letteratura occidentale, all’interno di una possibile genealogia non ancora documentata che comprenderebbe autori molto eterogenei come Anne Lister, Daniel Paul Schreber, David Garnett, Kathy Acker, Monique Wittig, Judith Butler, Rivers Solomon o Marieke Lucas Rijneveld.

Le posizioni narrative e critiche di Virginia Woolf si spiegano più con la sua distanza in rapporto al binario maschile/femminile ed eterosessuale/omosessuale che con la sua fedeltà a uno dei due termini del binario. Virginia Woolf non è mai statə eterosessuale: ha sposato Leonard Woolf a trent’anni per sfuggire alla tutela degli uomini della sua famiglia paterna, tra cui il fratellastro George Duckworth che l’aveva aggredita sessualmente durante l’adolescenza, ma anche per accedere ai privilegi economici e politici che soltanto le donne sposate (bianche e borghesi) potevano avere nell’Inghilterra della sua epoca, come possedere un conto in banca in comune o gestire (con Leonard) una casa editrice.

Virginia Woolf amava Leonard, non tanto come donna eterosessuale ma come compagnə, editorə, confidente. Fin dai primi mesi del matrimonio ha difeso il diritto di non avere rapporti sessuali con lui, una determinazione che ha puntellato con una diagnosi clinica di fragilità nervosa e tendenza alla grande malinconia. Se ha immaginato il piacere della filiazione, circondatə dalla prole di sua sorella Vanessa, questa possibilità non si è mai presentata come un desiderio di maternità, ma come la voglia di stabilire, al di là delle divisione binaria padre/madre, un rapporto di comunicazione elfico con tutti i viventi: un albero, un cane, una mosca, il mare, un libro…

D’altra parte, anche se Virginia Woolf ha amato molte donne più o meno appassionatamente, non si è mai sentitə lesbica. Radicalmente contrariə a qualsiasi neutralità, ma anche a ogni identità, Virginia Woolf ha fatto della sua scrittura il luogo di una vibrazione enunciativa costante. Questa oscillazione ipnotica creata da un movimento perpetuo della de-identificazione – che è stata caratterizzata anche come “stream of consciousness” – esige, per riprendere le parole di Virginia, “di non essere mai sé stessi e di esserlo sempre – questo è il problema” .

Qualcuno potrebbe accusarmi di proiettare su Virginia Woolf ossessioni che appartengono soltanto a me, al mio rifiuto del binario sessuale e di genere in quanto regime politico. Ma oserei ribaltare questo ragionamento e dichiarare che sono diventato l’essere non-binario che sono grazie anche alla lettura di Virginia Woolf. Ritorno continuamente alla sua opera per lasciarmi contaminare dalla de-binarizzazione della soggettività che provoca la sua vibrazione. È l’opera di Virginia Woolf ad aver fatto di me la mosca mutante non-binaria che sono oggi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano francese Libération.

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