1. Mother Mother, Baby don’t dance
Le vocine fanno “oooh!” e ci sono i sintetizzatori e la drum machine e la chitarrina acustica, il ritmo è sostenuto, e c’è il ritornello, e in tutte le transizioni tra una strofa e l’altra, una variante; insomma, power pop anni ottanta si direbbe, ma è uscito giusto l’altroieri, questo Eureka della indie band più radiofonica di Vancouver, tutto molto semplice ed energetico a prima vista ma composto con astuzia, come degli Stone Temple Pilots rivisitati dagli Abba. Ryan Guldemond, che qui compone, suona e canta di tutto, è un talento da ricordare.
2. Architecture in Helsinki, That beep
Diciamoci la verità, una volta che hai trovato un nome fico per la band il più è fatto. La gente ti citerà con compiacimento, masticando con voluttà questo nome così Monocle. E poi sono australiani, di Melbourne, molto Animal Kingdom, molto zeitgeist. Roba di adesso, e hai sentito il nuovo album, Moment bends. Tutto rimbalzi pop, un morbidone, un calippo calypso buono per il pilates, o per ricominciare a correre con addosso la felpa vintage. Musica per sentirsi in forma, divertirsi, e in linea con i tempi. Non è poco.
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- Max Pezzali, *Il tempo vola***
Ma dove le pensi? Questa batteriola elettronica, molto “born to be alive”, eh? Cavoli Max. Ti rendi conto, ultraquarantenni. A parlare di terze piene e di Porsche Carrera. Però, Max, chi dice ancora “un’altra notte in disco”? Vabbè che perfino Edmondo Berselli aveva un debole per te. Ma che ci stiamo a raccontare, Max? Lo sai che ti stimo. E Terraferma l’ho ascoltato, e non so come dirtelo. Parliamoci uno di questi giorni, Max. Voltiamo pagina. Mi ci metto anch’io, che ci faccio qui, ultraquarantenne, ad ascoltare ‘ste robe. Baby, beep, ma de che.
Internazionale, numero 894, 22 aprile 2011
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