1. Radiodervish, In fondo ai tuoi occhi
“Ti ho visto per le strade di Madrid / raccogliere le rose che la rabbia maturò / contro chi gioca a carte e perde la tua dignità”. Un po’ indignado, un po’ “per le strade di Pechino erano giorni di maggio tra noi si scherzava a raccogliere ortiche”; la voce dolce dell’ex corrispondente di Al Jazeera, Nabil Salameh, e la musicalità mediterranea del suo sodale di lungo corso, Michele Lobaccaro, ti cullano e ti portano via, fuori e dentro quadri di Magritte e piazze di Tahrir. Aree scoperte dalla band italomediorientale nella nuova raccolta Dal pesce alla luna.
2. Lu-Po, Giostra
C’era una volta Michael Nyman, re delle colonne sonore, che a colpi di planimetrie barocche per Peter Greenaway e lezioni di piano per Jane Campion trovava il giro giusto e si dava alla fuga. Lo insegue il cagliaritano Gianluca Porcu, alla guida di macchinine elettroniche e arrangiamenti delicati. E tutto diventa balocco: tromboncini e clarini che gonfiano le guance, glockenspiel delicati come piccole fate turchine, passi di piano e violino che sollevano dal suolo. Stendere la notte, il suo nuovo album, è un trailer del teatro di Emma Dante e dei sogni.
3. Rupa & the April Fishes, Guns of Brixton
Versione disarmante di uno dei pezzi più combattivi dei Clash: non aggrapparsi troppo alle memorie di London calling e arrendersi alla San Francisco multietnica di questo gruppo di combat hippy venati di reggae. Rupa Marya, cantante imbevuta di lingue e letterature indù ed europee, e il suo battaglione di archi e contrabbassi e trombette, e le sue attenzioni alle cose del mondo, dalle battaglie per l’acqua di Cochabamba (Bolivia) alle piazze di Oakland e del Cairo. Gran bell’album, controllato ma senza confini: Build.
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