**1. Sir Oliver Skardy,* Cinesi (feat. Elio & Natalino Balasso)***
Andiamo bene: “Vado in bar a beverme do goti / da me amigo barista Nogosuki Makinoti / go el concessionario che xe qua vissin / l’impiegato Migo Unciao, el paron Furgo Ncin”. Il reggae cabarettistico in venexiano nel nirvana made in China: riecco il vate dei Pitura Freska (album: Ridi paiasso). La musica è sempre “in levare” (come dice il saggio Yosikeme Nintendo) e la colonizzazione cinese in laguna è sentita assai: Antonio Scurati ci ha scritto La seconda mezzanotte; magari entra negli stessi bacari, ma esce più angosciato.
2. Pellicans, Dancing boy
Per il reggae è un po’ come per i bagni turchi o i film dell’orrore, può sembrare un genere solo se resti sulla soglia. Se la varchi vedi cose: i giamaicani grass e roots e macho o i britannici eighties alla Ub40, danzerecci e commerciali e flessibili. Se poi sei una Pinerolo reggae band con l’accento sul gay ti butti sullo stile Uk; ed ecco Ru Catania producer di spicco (Africa Unite et alia) e una “ricerca del senso attraverso incontri e relazioni, di soggettività non appagate” (freestyle feat. ufficio stampa) e l’album Dancing boy che scorre simpatico su tutto ciò.
3. Jah Sun, Never stray (feat. Gabby Ranks)
Poi c’è anche la via californication al reggae: uno sport da competizione, una crema solare, un beat beat beat inna rub-a-dub style venato hip hop e dancehall; aerobico e palestrato e impacchettato ad arte in una tracksuit da sera, bianca e nera e il 21 luglio lo aspettiamo tutti al Sunsplash di Mestre. L’album Rise as one è danzereccio al quadrato, per un governissimo dell’ancheggiamento estivo che si lascia lettianamente contaminare dalla club culture a cinque stelle. Altro che ganja, vai con la vitamina no matter the tribulations.
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