Ogni settimana il giornalista francese Pierre Haski racconta un paese di cui non si è parlato sui mezzi d’informazione.

Saint George’s, Grenada, marzo 2013. (Richard Cummins, Robert Harding World Imagery/Corbis)

Come può sopravvivere in questo mondo globalizzato un’isola di appena 350 chilometri quadrati con poco più di centomila abitanti? Per rispondere a questa domanda esistenziale, l’isola caraibica di Grenada si è rivolta a un’agenzia di comunicazione e ha trovato uno slogan: “Pure Grenada”.

Lo slogan, lanciato a febbraio per attirare verso quest’isola paradisiaca i turisti più ricchi, in particolare statunitensi, non sembra però piacere a tutti. È scoppiata una polemica, per la verità piuttosto modesta, ma che pone numerosi interrogativi e, soprattutto, attira su quest’isola semisconosciuta tanta attenzione quanto quella creata dalla campagna di marketing.

“Pure Grenada” è il frutto di un contratto firmato dal governo dell’isola con la multinazionale della comunicazione Ogilvy. Ed è proprio questa una parte del problema. Infatti i detrattori della campagna rimproverano alla Ogilvy di aver trattato il loro paese come uno yogurt, facendone un marchio. In altre parole, di essersi limitata a fare del marketing (che del resto è il suo lavoro). Ma un paese può essere “venduto” come uno yogurt?

“Quand’è che uno slogan diventa un marchio?”, si chiede un blogger dell’isola, che compara questa iniziativa a quella di un’impresa commerciale e sostiene che non è sufficiente a creare un marchio.

Lo stesso blogger si stupisce di questo cambiamento dato che Grenada aveva già uno slogan: “l’isola delle spezie”. L’arcipelago infatti è ricco di chiodi di garofano, cannella, noce moscata eccetera. Questa descrizione gli sembra più umana, più autentica dell’aggettivo “puro” abbinato al nome dell’isola. Un aggettivo che sembra uscito dal nulla e può creare ambiguità.

I critici del governo e del “rebranding” dell’isola si sono scatenati sui social network e hanno mostrato foto di discariche a cielo aperto o di fogne in cattivo stato, accompagnate dallo slogan “Pure Grenada”.

Nella rubrica della posta di un giornale dell’isola del 14 maggio, un lettore ha scritto: “In qualità di abitante di Grenada mi sento violentato e privato della mia vera identità dalla descrizione volgare e straniera di ‘Pure Grenada’. Siamo stati oltraggiato e contaminati da un invasore che non è il benvenuto. Dobbiamo rifiutare questo ‘Pure Grenada’ con tutto il nostro orgoglio nazionale. Pure Grenada è una descrizione impura di quello che siamo, un popolo con una cultura ricca e unica. Questo slogan ci banalizza”.

Guerra fredda ai Caraibi. Questo spirito ribelle fa parte della natura di Grenada. Uno spirito che sembrava essere stato sradicato nel 1983, un anno epocale nella storia dell’isola. Si tratta di un episodio completamente dimenticato dalla storia contemporanea, travolto da tanti altri avvenimenti molto più importanti.

Tuttavia in passato questo arcipelago di 350 chilometri quadrati, che nel settecento fu una colonia francese per poi passare sotto il dominio britannico, è stata un terreno di scontro della guerra fredda. Grenada è situata in una zona un tempo molto delicata, al largo delle coste del Venezuela e non molto lontana da Cuba.

Nel 1979 Grenada era diventata un paese socialista sotto la guida di Maurice Bishop, che aveva preso il potere dopo una rivolta armata. Bishop si era proclamato capo di un “governo rivoluzionario popolare” e si era subito schierato con Cuba, alleata dell’Unione Sovietica e avversaria degli Stati Uniti.

A Washington l’inquietudine era cresciuta quando i cubani e i sovietici avevano deciso di costruire a Grenada un grande aeroporto, capace di accogliere i più grandi aerei cargo dell’epoca. La struttura appariva sproporzionata rispetto alle esigenze dell’isola, con i suoi modesti flussi turistici e le sue esportazioni di spezie.

Ma nel 1983 la situazione cambiò radicalmente. Alcuni dissensi interni avevano provocato una crisi del regime, sfociata nell’arresto e nell’esecuzione di Bishop da parte di una corrente considerata “filosovietica” e contraria alla sua linea moderata. Di conseguenza l’isola si era ritrovata in una fase di crescente confusione.

Questo servì da pretesto al presidente statunitense Ronald Reagan, visceralmente anticomunista, che decise di intervenire. Fu il primo gesto forte della sua presidenza, il più grande dispiegamento dell’esercito statunitense dalla fine della guerra del Vietnam. E tutto per un’isola di 350 chilometri quadrati.

Sull’isola sbarcò un contingente di settemila militari statunitensi, ai quali si erano uniti come garanzia politica i soldati dei piccoli stati dei Caraibi che avevano chiesto a Washington di intervenire. Sull’isola c’erano solo 1.200 soldati dell’esercito nazionale e circa ottocento consulenti cubani e sovietici.

Per diversi giorni la marina statunitense impedì ogni accesso all’isola. Come molti altri giornalisti, ero stato inviato sul posto per cercare di sbarcare sull’isola per raccontare questa strana guerra caraibica.

Ma bisognava superare l’embargo. Ci provai tre volte, prima a bordo di uno yacht noleggiato da alcuni colleghi. Fummo subito individuati da una motovedetta che ci sbarrò la strada e ci rimandò indietro. Poi mi nascosi tra le mucche nella stiva di in un piccolo mercantile, che fu però bloccato dalla marina statunitense. Alla fine io e altri due colleghi ci travestimmo da pescatori e salimmo a bordo di un piccolo peschereccio.

Navigammo tutta la notte per arrivare all’alba in vista dell’isola di Carriacou, parte del territorio di Grenada. Per nostra fortuna proprio in quel momento gli statunitensi stavano invadendo Carriacou con due portaerei e un gran numero di elicotteri. Tutta questa agitazione ci permise di passare inosservati.

Qualche ora dopo però, mentre pensavamo di poter sbarcare su una spiaggia deserta senza essere visti, due elicotteri sbucati dal nulla ci intercettarono. Il primo si posò sulla spiaggia e ci puntò addosso le mitragliatrici. Il secondo si avvicinò provocando delle onde così forti che fecero rovesciare la nostra barca.

Fummo costretti a sdraiarci sulla spiaggia “con la faccia contro la sabbia e le mani lungo il corpo”, come ordinato dall’altoparlante dell’elicottero in inglese e in spagnolo (nel caso fossimo stati dei rinforzi cubani).

Ci arrestarono e ci trasferirono in una base militare a mezz’ora di marcia. Qui ci aspettava uno spettacolo surreale: soldati da tutte le parti, elicotteri che arrivavano e partivano in continuazione, mentre sugli alberi circostanti i giovani del posto osservavano divertiti gli invasori fumando spinelli. Sembrava di essere nel film

Mash.

Dopo essere stati interrogati, fummo trasferiti nella capitale, in quell’aeroporto gigante costruito dai cubani ma ormai solidamente nelle mani degli statunitensi, e da qui imbarcati sul primo volo militare in direzione delle Barbados.

Qualche giorno dopo l’embargo fu sospeso e fummo autorizzati a tornare a Grenada. Scoprimmo che non era stato sparato quasi nessun colpo e che la rivoluzione si era sgonfiata come un palloncino bucato, soprattutto a causa dei dissensi interni. L’azione dello zio Sam le aveva solo dato il colpo di grazia.

Ben presto la parentesi della rivoluzione fu chiusa, e oggi Grenada è simile a tutte le isole dei Caraibi, con delle istituzioni imperfette che non creano troppi problemi e cercano di approfittare della manna del turismo internazionale.

Ecco il motivo di questo “Pure Grenada” così asettico e stereotipato, che può essere applicato a Grenada come a qualunque altra isola della regione.

Grenada

• *Abitanti: *2,8 milioni

• *Capitale: *Saint George’s

Pil annuo:10.565 dollari (2010), 80° paese su 180 secondo la Banca mondiale.

Tre cose interessanti:

• Grenada è stata una colonia francese dal 1650 al 1762, ed è diventata britannica in seguito alla Guerra dei sette anni. Nel 1795 scoppiò una rivolta in favore della Francia, che fu repressa dalle truppe britanniche.

• La noce moscata, che compare sulla bandiera nazionale, ha fatto la fortuna dell’arcipelago: fino a dieci anni fa Grenada ne era il secondo produttore mondiale dopo l’Indonesia. La coltivazione delle spezie dà lavoro a più di tremila persone. Ma nel 2004 l’uragano Ivan ha distrutto il sessanta per cento delle piantagioni.

• La maggior parte degli abitanti di Grenada è di origine africana. Gli abitanti originari, caribi e arawak, costituiscono solo una piccola minoranza.

(Questo articolo è uscito su Rue89. Traduzione di Andrea De Ritis)

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