Era una decisione personale di Donald Trump, presa senza alcuna discussione e contro l’opinione della sua stessa amministrazione e il suo stesso partito. Se fosse stata messa in atto avrebbe avuto delle conseguenze importanti. La scelta del presidente degli Stati Uniti riguarda anche l’Europa, perché Francia e Regno Unito mantengono forze speciali nel nordest della Siria e diverse migliaia di jihadisti stranieri sono prigionieri delle forze curde in Siria, compresi molti europei.
Per Donald Trump, che ha bisogno di riprendere l’iniziativa in piena procedura di impeachment, la faccenda è semplice: vuole riportare a casa le truppe da una guerra che in un tweet ha definito “ridicola”. Di sicuro i suoi elettori avrebbero apprezzato. Ma anche tra le file repubblicane le proteste erano state considerevoli nel vedere gli Stati Uniti abbandonare i loro alleati curdi che hanno condotto la guerra sul terreno contro il gruppo Stato islamico (Is).
Davanti all’ampiezza delle reazioni negative, il presidente ha fatto un voltafaccia: ha affermato, contro ogni evidenza, che non aveva dato il via libera alla Turchia per intervenire in Siria e ha limitato la portata del numero di militari da ritirare. È la seconda volta che si ripete uno scenario simile: già a gennaio il ministro della difesa, il generale Jim Mattis, aveva dato le dimissioni sdegnato per una decisone analoga, poi annullata.
Come la prima volta, la decisione è arrivata nuovamente dopo una telefonata con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Non è un caso. La Turchia, infatti, vorrebbe veder partire gli statunitensi per intervenire in questa parte della Siria e allontanarne i combattenti curdi.
Il rischio, prima di tutto, era quello di vedere l’esercito turco prendere di mira le posizioni dei curdi. Fino a poco tempo fa alleati della coalizione internazionale contro i jihadisti, i curdi verrebbero considerati come terroristi dall’esercito di Ankara. “Trump ci ha pugnalato alle spalle”, hanno commentato fonti curde.
Una situazione del genere avrebbe costretto i curdi a scegliere tra due mali. A questo punto un’alleanza con il regime di Bashar al Assad rischia di essere preferibile allo scontro con il nemico giurato oltre il confine. Di conseguenza potremmo assistere a una svolta da cui Damasco trarrebbe enormi benefici grazie all’indifferenza di Trump.
L’altro interrogativo, fonte di grande preoccupazione per l’Europa, riguarda i prigionieri. Lunedì il ministro degli esteri francese ha ripetuto che “i combattenti terroristi devono essere giudicati dove hanno commesso i loro crimini”. Ma chi dovrebbe giudicarli? I turchi? Damasco? La situazione rischia di diventare presto insostenibile, tanto più che altri paesi europei, come la Spagna, stanno prendendo una posizione diversa e vorrebbero rimpatriare i combattenti per processarli.
La decisione di Trump era con tutta evidenza un errore strategico, anche se per il presidente si trattava soltanto di una manovra elettorale. Era un peccato morale nei confronti degli alleati curdi; un errore politico perché avrebbe affidato le chiavi della sicurezza regionale a un personaggio come Erdoğan; infine un errore per la sicurezza, perché alimenta il rischio di una ripresa dell’Is.
L’uomo solo al comando della Casa Bianca è stato spesso incosciente e incoerente nelle sue decisioni, ma mai così catastrofico come nel caso dei curdi, vittime dell’ennesimo tradimento internazionale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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