Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha descritto il Covid-19 come “la prova più difficile che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi 75 anni”, cioè dai tempi della seconda guerra mondiale. Sarebbe potuto essere il discorso di un generale in piena battaglia, e invece a pronunciarlo è un politico emarginato in mezzo a una crisi planetaria. L’Onu è nell’impasse, e lo era già prima dell’avvento del virus.

Nonostante le richieste di molti paesi, il Consiglio di sicurezza non si è ancora riunito per discutere la pandemia, segno della sua eclissi e della sua paralisi. Eppure l’autorità politica e morale delle Nazioni Unite sarebbe estremamente utile per riunire governi divisi in una battaglia comune contro un nemico che non conosce ideologie né frontiere.

Nel mese di marzo la presidenza del Consiglio di sicurezza è toccata alla Cina, e l’atmosfera è stata avvelenata dalla decisione di Donald Trump di definire il Covid-19 “un virus cinese”, a cui ha fatto da contraltare l’accusa rivolta da Pechino agli Stati Uniti di aver impiantato il patogeno in Cina. Uno scambio puerile, soprattutto considerando la posta in gioco al livello mondiale. Il segno evidente di un mondo disunito. A peggiorare le cose c’è il fatto che il Consiglio di sicurezza non può più fisicamente riunirsi dalla metà di marzo a causa dell’impennata di casi a New York.

Il calvario della guerra prosegue
Il segretario generale ha lanciato un appello personale (non in quanto carica più alta dell’organizzazione) a fermare tutti i conflitti durante la lotta contro l’epidemia. Ha ottenuto qualche piccolo successo, ma nessuno dei grandi conflitti in corso è cessato come per magia, e di sicuro Guterres non è riuscito a mettere fine al calvario di milioni di profughi e sfollati.

António Guterres fa quello che può. Il talento del politico portoghese non è in discussione. Ma l’epoca in cui viviamo è molto difficile. Le Nazioni Unite non sono altro che il riflesso della volontà degli stati che ne fanno parte: se gli stati non riescono a dialogare, la macchina si inceppa.

L’Oms ha negato la trasmissione umana del Covid-19 fino alla metà di gennaio

La portata della crisi impone una risposta collettiva, in un momento in cui metà della popolazione mondiale è isolata e una parte del mondo è priva di adeguate strutture sanitarie ed economiche indispensabili per affrontare la pandemia e le sue conseguenze.

L’Onu è stata concepita per situazioni di emergenza come quella attuale, non solo per garantire la pace dopo la seconda guerra mondiale. L’organizzazione comprende numerose agenzie specializzate in diversi ambiti, ma anche la loro attività in questo momento appare modesta.

Perfino l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) viene contestata per aver sposato la linea cinese continuando ad affermare, fino a metà gennaio, che non esisteva la possibilità di una trasmissione umana, e per aver ritardato la dichiarazione di pandemia su richiesta di Pechino.

È arrivato il momento di rivedere un sistema multilaterale che sembra sempre più paralizzato? È possibile farlo quando i principali responsabili dell’impasse hanno diritto di veto? La risposta, chiaramente, è “non oggi”.

Ma nel “mondo di domani”, che già adesso dovrebbe mobilitare gli animi, dovrà necessariamente porsi la questione della governance mondiale. Che si tratti del coronavirus o del problema climatico, il nemico è comune. Il problema è che il pianeta è disperatamente diviso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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