Da dieci giorni la Polonia vive una situazione inedita e impressionante. I cittadini manifestano in massa quasi ogni giorno per protestare contro il divieto pressoché totale dell’aborto. In questo movimento esiste una dimensione culturale ma anche politica che merita attenzione, anche in un contesto segnato da altre problematiche.
In Polonia il dibattito sull’aborto affonda le sue radici nell’epoca comunista. A partire dal 1993 questo paese estremamente cattolico ha autorizzato l’aborto solo in tre casi: quando la salute della donna è in pericolo, quando si verifica uno stupro e quando il feto presenta malformazioni. Queste restrizioni limitano il numero di aborti legali a circa un migliaio all’anno, contro circa 150mila interruzioni di gravidanze complessive secondo le stime, effettuate clandestinamente o all’estero.
Il Pis, il partito ultraconservatore al potere, ha provato per anni a cancellare le ultime possibilità legali per l’aborto. Dopo aver tentato invano di far approvare una legge nel 2016, ha cambiato metodo scatenando la collera di parte della popolazione.
Società spaccata
Il Pis ha infatti usato la corte costituzionale, di cui ha assunto abusivamente il controllo da qualche mese. Questa manovra, tra l’altro, è valsa alla Polonia una procedura di infrazione con l’Unione europea.
Il tribunale ha cancellato la possibilità di abortire in caso di malformazione del feto, la causa più diffusa di interruzione di gravidanza legale. È in casi come questo che si capisce l’importanza della corte costituzionale. È inevitabile, in questo senso, pensare a come Donald Trump ha forzato la mano per far eleggere Amy Coney Barrett alla corte suprema americana prima delle elezioni, garantendo una maggioranza conservatrice duratura all’alto tribunale.
Questo metodo e le sue conseguenze hanno sconvolto i polacchi. Il movimento di protesta è esploso in piena pandemia, evidenziando la spaccatura all’interno della società polacca.
“La laicità della società polacca sta subendo un’accelerazione inedita”, secondo Thibault Deleixhe
Il potere ha reagito con rabbia. La settimana scorsa Jarosław Kaczyński, uomo forte del governo, ha pronunciato un discorso dai toni accesi, definendo le manifestazioni “un attacco volto a distruggere la Polonia” e un atto “nichilista” contro la chiesa.
In questo modo Kaczyński non ha fatto altro che galvanizzare l’opposizione. Nel fine settimana più di centomila persone hanno manifestato a Varsavia. L’estrema polarizzazione della Polonia non è una novità, ma il tema dell’aborto e l’atteggiamento del potere hanno prodotto un fenomeno importante che coinvolge la politica e la chiesa.
Secondo Thibault Deleixhe, ricercatore dell’Inalco di Parigi, “la chiesa, convinta di rafforzare il suo controllo sulle donne, ha dilapidato il proprio monopolio sul sacro. La laicizzazione della società polacca, già sulla buona strada, sta subendo un’accelerata inedita”.
Ciò che accade a Varsavia va seguito da vicino, perché è in gioco l’evoluzione di un paese chiave dell’Unione europea, alle prese con una scelta della società che diventa politicamente determinante.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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