La giornata del 4 febbraio, in Libano, doveva essere segnata dalla ricorrenza dei sei mesi dall’esplosione nel porto di Beirut, tra raccoglimento e collera. E invece i libanesi sono stati sconvolti da un altro dramma: la scoperta nella mattinata del corpo di un celebre intellettuale, Lokman Slim, ritrovato con diversi proiettili in testa all’interno della sua auto nel sud del Libano.

L’omicidio suscita pessimi ricordi a Beirut: l’ondata di attentati che negli anni duemila colpirono tra gli altri l’ex primo ministro Rafik Hariri e il giornalista Samir Kassir. Nel contesto della crisi politica, economica e sociale che attraversa oggi il Libano, la morte di Lokman Slim non promette niente di buono.

La figura pubblica di Lokman Slim spiega in parte la reazione di sgomento. Scrittore ed editore di 58 anni, ex studente di filosofia a Parigi, baluardo della società civile, sosteneva la laicità e l’emancipazione della politica libanese dai confessionalismi religiosi. Ma soprattutto Lokman Slim era uno sciita che viveva in un quartiere ritenuto un feudo di Hezbollah, l’organizzazione filoiraniana da lui ferocemente criticata. Questa dimensione della sua personalità fuori del comune è al centro del dibattito a Beirut.

Perché è stato ucciso?
Lokman Slim sapeva essere sconvolgente con le sue prese di posizione, ma non rappresentava una minaccia per nessuno e sicuramente non per Hezbollah, organizzazione onnipotente dotata di un suo esercito e di milizie asservite.

Ma allora perché è stato ucciso? Qual è il messaggio? Gli sguardi si rivolgono chiaramente verso Hezbollah, che controlla con pugno di ferro la zona del Libano del sud dove lo scrittore è stato ucciso. Già in passato l’organizzazione aveva preso di mira quello che definiva “lo sciita delle ambasciate” a causa delle sue frequentazioni con i diplomatici stranieri.

Ma quale sarebbe stato l’interesse di Hezbollah nel commettere un omicidio in un contesto in cui controlla lo scenario politico del paese, oltretutto in un momento segnato dal rinnovamento diplomatico con il cambio di amministrazione a Washington? A questa domanda non c’è ancora una buona risposta.

I capi della diplomazia francese e americana hanno chiesto un governo libanese “credibile ed efficace”

Il 4 febbraio i libanesi si interrogavano sull’impatto di questo gesto ancora inspiegabile, chiedendosi in particolare se si sia trattato di una mossa di valenza locale con cui Hezbollah tenta di ridurre al silenzio qualsiasi critica all’interno della comunità sciita o se invece vada letta a livello internazionale nell’ambito delle trattative sull’Iran e sul nucleare.

Il contesto è preoccupante. La settimana scorsa la presidenza francese ha invitato l’amministrazione Biden a mostrarsi “realista” e a non escludere Hezbollah dal processo politico libanese. Il 4 febbraio i capi della diplomazia francese e americana hanno rilasciato un comunicato comune chiedendo la formazione di un governo libanese “credibile ed efficace”.

Evidentemente un assassinio politico è la mossa perfetta per sabotare questi sforzi, trascinare nuovamente il paese verso la crisi politica e risvegliare rancori mal sopiti.
Nel loro ultimo articolo pubblicato dal quotidiano francofono di Beirut L’Orient-le-Jour, Lokman Slim e sua moglie Monika Borgman, tedesca, commentavano le peripezie politiche del Libano, chiudendo con una domanda: “E ora dove andiamo?”. Gli assassini hanno risposto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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