Omicidio politico o regolamento di conti criminale? O forse entrambi? Cinque giorni dopo l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse nella sua residenza di Port-au-Prince, sono ancora un mistero i motivi della sua eliminazione e il reale ruolo dei mercenari colombiani uccisi o arrestati. Niente di ciò che sta accadendo nel paese spinge a essere ottimisti sul futuro.
L’11 luglio la vedova del presidente, Martine Marie Etienne Joseph, gravemente ferita nell’attacco notturno e ricoverata negli Stati Uniti, ha diffuso un messaggio registrato in cui accusa, senza nominarli, gli oppositori politici di suo marito. La donna parla di “nemici interni” e promette di portare avanti l’azione del presidente deceduto.
Ma per molti haitiani il modus operandi degli assassini di Jovenel Moïse, compresa la tipologia dell’impatto dei proiettili sul suo corpo, porta la firma di una pista criminale. “Come un regolamento di conti tra bande rivali, come una punizione per un tradimento”, scrive un blogger haitiano.
Snodo del narcotraffico
L’influenza delle gang è in effetti considerevole. Era una delle accuse rivolta dall’opposizione e dalla società civile a Jovenel Moïse. Il nome del presidente è regolarmente citato in diverse vicende, tra cui un grande scandalo che riguarda l’importazione di petrolio dal Venezuela. Haiti, nel frattempo, è diventata uno snodo del traffico di droga.
Inoltre, e questo è uno dei motivi di inquietudine principali per la popolazione, le gang seminano il terrore, con rapimenti e traffici di ogni genere. Ad Haiti operano decine di bande armate, alcune delle quali sono legate ai vertici dello stato.
Un capo criminale difende l’ordine contro quelli che in teoria sarebbero i responsabili della stabilità
Il capobanda più conosciuto, l’ex poliziotto Jimmy Cherizier, detto Barbecue, ha minacciato di far scendere i suoi uomini in strada per protestare contro l’omicidio. In un video in cui indossa un’uniforme color kaki, l’uomo parla di una “cospirazione nazionale e internazionale” contro Haiti e denuncia una “borghesia schifosa” accusandola di aver “sacrificato” il presidente.
Paradossalmente un capo criminale difende l’ordine contro quelli che in teoria sarebbero i responsabili della stabilità. È un buon riassunto del caos attuale.
La comunità internazionale potrà aiutare Haiti? È un grande punto interrogativo. Il governo, con la poca autorevolezza che gli resta, ha chiesto agli Stati Uniti di inviare un contingente per stabilizzare il paese. Washington non ha ancora risposto, ma è difficile pensare che Joe Biden, impegnato a ritirare il suo esercito dall’Afghanistan e reticente per principio agli interventi militari all’estero, possa impegnarsi in un’operazione così rischiosa.
Inviare l’esercito statunitense contro le bande di Port-au-Prince, facendo da bersaglio e anche da capro espiatorio di tutti i mali del paese, non è molto attraente, soprattutto perché Haiti è appena uscita dal trauma inflitto da un contingente di caschi blu dell’Onu accusato di aver portato il colera nel paese e di aver commesso abusi sessuali sulla popolazione.
Oggi il rischio principale nel vuoto istituzionale creato dall’omicidio del presidente è quello di vedere Haiti proseguire nel suo destino di stato fallito, sotto il controllo diretto o indiretto delle bande criminali.
Preoccupati da questa prospettiva, molti haitiani assediano il consolato degli Stati Uniti per chiedere asilo politico. Un ennesimo segnale inquietante.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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