Quando smettiamo di parlare della situazione in un paese non significa necessariamente che tutto vada bene. Molto spesso è vero il contrario, e semplicemente le informazioni smettono di filtrare.

Il 30 novembre l’organizzazione non governativa Human rights watch ha pubblicato un’inchiesta minuziosa sull’Afganistan che ha accertato l’esecuzione sommaria o la scomparsa forzata di più di cento militari o funzionari dell’ex regime afgano caduto lo scorso 15 agosto. Il rapporto è intitolato “Nessun perdono per quelli come te”, un’esplicita citazione delle parole di un capo taliban.

I ricercatori della ong hanno analizzato decine di casi in quattro province e sottolineano con preoccupazione il carattere ripetuto di queste esecuzioni. Sono atti che mettono palesemente in discussione le dichiarazioni dei capi taliban che negavano qualsiasi volontà di vendicarsi e soprattutto la realtà dell’amnistia annunciata per tutti coloro che avevano collaborato con il precedente governo.

Documenti abbandonati
Le alternative sono due: o i leader taliban non controllano le truppe che si abbandonano a regolamenti di conti oppure con le loro dichiarazioni volevano solo mettere a tacere la comunità internazionale.

Il rapporto racconta il caso di Baz Muhammad, ex dipendente della direzione nazionale per la sicurezza, l’ex servizio di informazioni. Muhammad è stato arrestato in casa sua, a Kandahar, e poche ore dopo i suoi conoscenti ne hanno ritrovato il corpo senza vita. Si è trattato chiaramente dell’esecuzione extra-giudiziaria di un uomo la cui attività era in teoria coperta dall’amnistia.

Solo pochi stati, come la Cina e il Pakistan, trattano con i taliban per aiutare il paese

Secondo Human rights watch i taliban hanno accesso ai documenti abbandonati dalla precedente amministrazione e questo facilita l’identificazione dei loro obiettivi. Gli attacchi dei taliban si verificano solitamente la notte, con il pretesto della ricerca di armi. Alcune vittime si sono presentate ai loro carnefici spontaneamente, attirate dalla promessa dell’amnistia e dalla necessità di ottenere un documento ufficiale per circolare liberalmente.

Il rapporto evidenzia soltanto un aspetto di ciò che accade lontano dagli sguardi e fuori della capitale Kabul (che non è stata presa in esame dall’indagine). La riconquista del potere dei taliban è meno brutale rispetto al loro primo passaggio, ma è altrettanto intransigente.

Le ong e le Nazioni Unite moltiplicano gli allarmi, perché l’Afghanistan, privato delle risorse, deve affrontare una situazione drammatica aggravata dal suo isolamento. Solo pochi paesi, come la Cina e il Pakistan, trattano direttamente con i taliban per aiutare il paese.

L’Onu fornisce un aiuto umanitario, soprattutto agli ospedali rimasti senza risorse dopo il crollo di un governo che sopravviveva per l’80 per cento grazie agli aiuti internazionali. Ora questa assistenza finanziaria si è interrotta, mentre miliardi di dollari di denaro afgano sono ancora bloccati nelle banche straniere in assenza di garanzie da parte dei taliban.

Tra l’aiutare la popolazione afgana e il legittimare il regime repressivo la differenza può apparire sottile, ed è giusto vigilare. Ma gli afgani non devono subire la doppia punizione dell’oppressione e dell’abbandono internazionale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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