Il 16 giugno la parola “storico” è stata usata per definire la visita a Kiev dei leader di Francia, Germania, Italia e Romania, nonché l’affermazione del loro sostegno “incondizionato” all’Ucraina in guerra. La formula è spesso impropria, ma in questo caso è sensata.

Il viaggio dei capi delle prime tre economie dell’Unione europea segna una svolta nella guerra che dura ormai da quattro mesi, e anche una tappa nel percorso di crescita europea.

L’evento evidenzia in particolare la posizione di Francia e Germania, allineate al sostegno senza esitazioni per l’Ucraina chiesto da tempo dai paesi del fianco est dell’Unione. È la fine, almeno per il momento, dello scarto evidente tra i protagonisti tradizionali dell’Unione e i paesi che si trovano in prima linea a causa della loro storia e della loro geografia.

Inversione di rotta
Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Mario Draghi e il presidente romeno Klaus Iohannis hanno accettato per l’Ucraina lo status di candidato all’adesione, un tema che in precedenza divideva l’Europa. Le ultime riserve dei pesi massimi dell’Unione sono state cancellate e, anche se esistono ancora alcuni paesi reticenti, il Consiglio europeo del 23 giugno si annuncia sotto ottimi auspici.

Perché questa inversione di rotta? La spiegazione è prima di tutto geopolitica. Se la guerra ucraina, come ritengono gli occidentali, è diventata un test dei rapporti di forza internazionali, allora le divisioni europee sono pericolose.

Per Francia e Germania il viaggio a Kiev segna un risveglio realista

Dopo la fatidica decisione di invadere l’Ucraina, lo scorso 24 febbraio, Vladimir Putin ha calcolato male la reazione dell’occidente. Il presidente russo contava sulla passività dell’Europa, ma così non è stato. Inoltre credeva che gli Stati Uniti fossero sfiancati dal fallimento a Kabul e dalle divisioni interne, e invece li ha rimessi in sella come leader del blocco occidentale.

Per Parigi e Berlino era arrivata l’ora di scegliere. Entrambi i paesi hanno dovuto rivedere la propria posizione strategica. Macron ha creduto per troppo tempo (e invano) che il suo atteggiamento da mediatore gli permettesse di influenzare la Russia, mentre a Berlino la svolta è stata ancora più netta, dopo decenni di cecità davanti alla resurrezione della Russia. Per Francia e Germania il viaggio a Kiev segna un risveglio realista.

Mosca ha accolto la notizia di questa visita con disprezzo. Dmitrij Medvedev, l’uomo che in passato ha sostituto Putin giusto il tempo di un mandato, ha ironizzato sullo spostamento “inutile” dei “mangia rane, salsicce e spaghetti”.

Ma la verità è che davanti a un conflitto che si annuncia duraturo, il ritorno di una traiettoria d’unità dei 27 ha una grande importanza. Il sostegno garantito all’Ucraina non sarebbe possibile con un’Unione europea divisa rispetto al percorso da intraprendere e soprattutto con una diffidenza nei confronti dei paesi storici dell’Europa occidentale.

I prossimi appuntamenti – dell’Unione europea, della Nato e del G7 – dovrebbero mostrare un’unità intaccata solo dalle eccezioni ungherese o turca. Dopo le frizioni delle ultime settimane, il 16 giugno il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha potuto dichiarare che “è stata voltata una pagina”. Fino a pochi giorni fa non era affatto scontato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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