I prossimi mesi saranno particolarmente insidiosi: il conflitto ucraino entrerà infatti in un periodo critico, sei mesi dopo l’inizio dell’invasione russa e in un momento in cui non si intravede la fine dei combattimenti. Gli ultimi sei mesi non hanno permesso all’esercito di Vladimir Putin di ottenere la vittoria sperata né al popolo ucraino di respingere l’invasore oltre le frontiere, e questo malgrado una mobilitazione eccezionale e la consegna di armi sempre più sofisticate.

La nuova fase del conflitto si svolgerà su tre piani distinti ma evidentemente collegati: quello militare, quello diplomatico e quello politico. La guerra, si sa, non è mai una questione esclusivamente militare. Il conflitto riguarda pure noi che viviamo dall’altra parte dell’Europa, anche perché l’onda d’urto è planetaria.

Sul campo, dopo i fallimenti iniziali nella regione di Kiev – affidandosi a una serie di intercettazioni, il Washington Post ha rivelato che Mosca pensava di conquistare la capitale e installarvi un governo fantoccio nel giro di pochi giorni – l’esercito russo ha ottenuto diversi successi a Mariupol, sul mar d’Azov, e in una parte del Donbass. Oggi i russi possono contare su una potenza di artiglieria ben superiore a quella ucraina, ma in questo periodo tardoestivo stanno rallentando la loro avanzata. L’esercito ucraino, dal canto suo, moltiplica le operazioni di “sabotaggio” dell’apparato russo, con attacchi mirati contro depositi di armi e punti logisticamente cruciali, anche in Crimea (ed è una novità), territorio occupato dal 2014 dalla Russia che ospita la flotta sul mar Nero.

Negoziati lontani
Mancano ancora alcune settimane prima del ritorno dell’inverno, un lasso di tempo in cui i due eserciti cercheranno di avvantaggiarsi. L’esercito ucraino, in particolare, prepara una controffensiva per cercare di riconquistare Cherson, nel sud. Per la Russia sarebbe un colpo durissimo.

La situazione militare evidenzia che il momento del negoziato non è ancora arrivato: né per Putin, che nonostante l’avanzata del suo esercito non ha ottenuto il successo decisivo che gli permetterebbe di trattare in posizione di forza; né per gli ucraini, che oggi sarebbero costretti a fare concessioni territoriali che la popolazione non è pronta ad accettare dopo tutti i sacrifici fatti. Ognuno dei due schieramenti è convinto che il tempo sia dalla sua parte: l’Ucraina perché riceve ogni mese nuove armi (principalmente dagli Stati Uniti) che crede possano fare la differenza sul campo, e la Russia perché può contare su una superiorità numerica e perché Putin non è nelle condizioni di poter fare un passo indietro.

In vista del G20 di novembre, i due “fronti” globali moltiplicheranno gli sforzi per ottenere l’appoggio dei paesi emergenti

Ma questi non sono gli unici parametri del conflitto. La guerra si gioca anche sul piano diplomatico. In questo senso un appuntamento decisivo sarà il vertice del G20 in programma a metà novembre a Bali, in Indonesia. I leader di Russia e Cina, Putin e Xi Jinping, hanno annunciato che parteciperanno all’evento. Se l’impegno sarà confermato e se saranno presenti anche gli occidentali – statunitensi, europei, giapponesi, australiani – sarà il primo faccia a faccia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. A Bali ci saranno anche i grandi paesi emergenti come l’India, il Sudafrica, il Brasile e l’Arabia Saudita, la cui posizione è fondamentale per l’equilibrio del mondo di oggi.

In vista di novembre, i due “fronti” globali – quello degli occidentali, ricostituito sotto la guida degli Stati Uniti, e quello dei contestatari dell’ordine internazionale, incarnato da Russia e Cina – moltiplicheranno gli sforzi per ottenere l’appoggio dei paesi emergenti. Gli occidentali, paradossalmente, partono svantaggiati, perché credono di rappresentare la legalità internazionale nel contesto della guerra in Ucraina, mentre all’estero sono accusati di usare due pesi e due misure: mobilitati a sostegno dell’Ucraina dopo essere rimasti largamente immobili quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003, gli occidentali chiudono gli occhi davanti al dramma dei palestinesi e alle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita e in altri paesi alleati. Questa differenza di percezione è particolarmente forte in Africa, dove le ex potenze coloniali come la Francia sono derise dai giovani ogni qual volta sventolano la bandiera della democrazia e del diritto contro la Russia. La guerra dell’informazione che imperversa in Africa, soprattutto nei paesi francofoni, è una delle sfaccettature di questo scontro planetario.

Il test italiano
Infine la guerra in Ucraina si svolge al livello dell’opinione pubblica, in Russia come all’interno dell’Unione europea. Con un quesito fondamentale: chi cederà per primo? Sarà la Russia, sottoposta a sanzioni senza precedenti ma che si è rivelata più resistente del previsto e capace di controllare l’informazione e dunque la percezione della guerra da parte della sua popolazione? O saranno gli europei, in gran parte spontaneamente solidali con l’Ucraina ma il cui appoggio sarà messo a dura prova dalla crisi energetica che rischia di arrivare in inverno? La dichiarazione recente del presidente francese Emmanuel Macron, che ha invitato i francesi ad accettare di “pagare il prezzo della libertà”, fa capire quanto siano profonde le preoccupazioni dell’occidente in vista dell’inverno, con una spesa energetica che potrebbe rivelarsi mastodontica.

La Russia punta sulla stanchezza se non addirittura sulla rivolta di una parte dell’opinione pubblica occidentale. L’ex presidente e primo ministro russo Dmitrij Medvedev, diventato il “cecchino” di Putin sui social network, ha esplicitamente invitato gli europei a “punire” i propri leader, ironizzando sul fatto che “l’inverno sarà più caldo in compagnia della Russia che nella solitudine di un termosifone spento”. Il primo test di questo braccio di ferro sarà in Italia, dove le elezioni legislative anticipate in programma il 25 settembre rischiano di premiare alcuni partiti di destra ed estrema destra vicini a Putin. Un eventuale successo di forze politiche che in passato non hanno nascosto il loro apprezzamento per il capo del Cremlino sarebbe immancabilmente interpretato come un successo per Putin, anche se la Russia non è l’unico criterio di scelta per gli elettori italiani.

Quella che ci aspetta in autunno e in inverno, dunque, sarà una guerra su vari fronti: quello militare, quello dell’influenza diplomatica e quello delle opinioni pubbliche. Sarà un periodo insidioso, come dimostrano le tensioni con la Cina su Taiwan e la situazione critica attorno alla centrale nucleare di Zaporižžja, ma anche un periodo in cui ognuno degli attori di questa crisi scoprirà se sarà in grado di raggiungere i suoi obiettivi e in quale momento sarà costretto a fare compromessi. Per il momento, comunque, l’escalation continua.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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