Davanti alla mancanza di progressi decisivi nella guerra in Ucraina, da qualche tempo circola la voce che gli occidentali dovrebbero chiedersi se sia giusto continuare a sostenere militarmente e finanziariamente Kiev.
In questo contesto esistono due elementi indiscutibili: prima di tutto il fatto che l’offensiva ucraina, in corso ormai da due mesi, abbia portato ad alcuni avanzamenti territoriali senza però ribaltare il rapporto di forze, come invece speravano gli stati maggiori. Questo perché il sistema difensivo russo si è rivelato molto solido.
Il secondo elemento è il costo elevato dell’operazione, con decine di miliardi di euro e dollari spesi in aiuti militari ed economici in un anno e mezzo di guerra. Il 28 agosto il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di un “investimento finanziario, diplomatico e logistico considerevole per gli anni a venire”.
Basterà questo per intaccare il sostegno occidentale? Il 29 agosto il quotidiano conservatore francese Le Figaro ha dedicato un titolo ai “primi dubbi” degli Stati Uniti a proposito degli aiuti all’Ucraina. Anche in Europa sono in molti a esprimere gli stessi tentennamenti.
Ignorare queste posizioni sarebbe sbagliato, ma mi sembra di poter dire che niente, oggi, lascia pensare che l’assistenza nei confronti dell’Ucraina sia a rischio in un futuro prevedibile, ovvero almeno fino alle elezioni presidenziali statunitensi dell’anno prossimo.
C’è un fattore che rende inimmaginabile una svolta improvvisa della politica statunitense: la Cina
È lì che sta la chiave. Il sostegno di Washington è decisivo, anche se l’Europa rivendica collettivamente un contributo più importante comprendendo tutti gli ambiti. Gli Stati Uniti, infatti, garantiscono una leadership che ha un grande peso nelle decisioni degli altri paesi.
Le Figaro sottolinea che un sondaggio pubblicato all’inizio di agosto ha rilevato per la prima volta che il 55 per cento degli statunitensi e soprattutto il 72 per cento dei repubblicani è contrario a nuovi aiuti finanziari all’Ucraina. Questa settimana il nuovo sfidante di Donald Trump per la nomination repubblicana, il miliardario Vivek Ramaswamy, ha proposto che alla Russia sia consentito di assumere il controllo dei territori che occupa.
Ma c’è un fattore che rende inimmaginabile una svolta improvvisa della politica americana: la Cina.
La principale ragione dell’impegno massiccio degli Stati Uniti in Ucraina, infatti, è la consapevolezza che una vittoria russa rafforzerebbe inevitabilmente Pechino, rivale strategico degli Stati Uniti nel ventunesimo secolo. E sull’altra sponda dell’Atlantico l’ostilità nei confronti di Pechino gode di un sostegno bipartisan.
Detto questo, una vittoria repubblicana tra quattordici mesi (di Trump o di un altro candidato) sprofonderebbe la politica estera statunitense nell’incertezza. Ma fino ad allora ci sono poche possibilità che Joe Biden rinunci alla rotta seguita finora, come dimostra la recente autorizzazione all’invio a Kiev degli aerei F-16.
Lo stesso vale per l’Europa. Il 28 agosto Macron ha confermato la linea che ha mantenuto dopo il ripensamento della scorsa primavera. “La Russia non può né deve vincere questa guerra, perché in caso contrario avremmo una grande instabilità sul suolo europeo”, ha spiegato agli ambasciatori. Oggi nessun paese dell’Ue minaccia di ritirare il proprio sostegno all’Ucraina. Questo non significa che nessuno si faccia domande, ma non al punto tale da rinunciare a un impegno così carico di significato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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