È una guerra parallela che fa meno vittime e attira poco l’attenzione rispetto a quella in corso nella Striscia di Gaza, ma è altrettanto pericolosa e c’è il rischio di un’escalation.
Parliamo del conflitto nelle acque internazionali del mar Rosso, una via marittima strategica. A scontrarsi sono la marina degli Stati Uniti e i ribelli sciiti huthi dello Yemen, ma la posta in gioco va ben oltre questi ultimi. Gli huthi, infatti, sono sostenuti dall’Iran, presente in tutte le zone calde della regione.
Dal 7 ottobre, giorno in cui Hamas ha attaccato Israele, gli huthi hanno fatto parlare di loro nonostante la distanza tra lo Yemen e il fronte di Gaza. Tutto è cominciato con il lancio di missili in direzione del sud di Israele, intercettati dagli statunitensi. Poi sono arrivati gli attacchi contro imbarcazioni israeliane o sospettate di avere legami con Israele.
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Il 3 dicembre almeno tre navi mercantili sono state attaccate nel mar Rosso da missili balistici. I missili hanno provocato pochi danni e nessuna vittima. Tre droni sono stati intercettati e distrutti dalla marina statunitense, presente in forze nella zona.
Gli huthi hanno rivendicato gli attacchi, affermando di voler impedire il passaggio alle navi israeliane fino a quando durerà la guerra a Gaza. Le navi colpite il 3 dicembre battevano bandiera panamense, ma il proprietario di almeno una di loro è israeliano. Nei giorni precedenti erano state attaccate diverse imbarcazioni. Una nave cargo israeliana che trasportava auto è stata sequestrata e portata nel porto yemenita di Hodeida.
Attraverso queste azioni, gli huthi ribadiscono la loro appartenenza al cosiddetto asse della resistenza, il nome usato dai gruppi che si oppongono a Israele e sono sostenuti dall’Iran, tra cui Hamas, la Jihad islamica palestinese, il movimento libanese Hezbollah, alcune fazioni filosiriane e alcune milizie sciite irachene.
Gli huthi, un gruppo armato sciita, combattono da quasi dieci anni, e hanno trascinato lo Yemen in una guerra civile dopo la primavera araba del 2011. Il conflitto ha assunto una dimensione internazionale con il coinvolgimento dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Gli scontri sono diminuiti, ma gli huthi non hanno rinunciato al loro ruolo nella regione.
Al momento è in corso un’escalation, ma non sappiamo fino a che punto vogliano spingersi i ribelli sciiti dello Yemen (e di conseguenza l’Iran).
Dal 7 ottobre, di fronte al dispiegamento di forze da parte di Washington, Teheran e i suoi alleati conducono con prudenza azioni a sostegno di Hamas, senza però mai esagerare. Che si tratti di Hezbollah nel sud del Libano, degli attacchi degli sciiti iracheni contro le basi statunitensi o delle azioni degli huthi, non sono ancora stati compiuti gesti irreparabili, che costringerebbero Washington a reagire.
Finora gli Stati Uniti si sono limitati a contenere gli huthi nel mar Rosso o a colpire gli interessi iraniani in Siria, ma un vero aumento delle tensioni, per esempio con un attacco diretto e con delle vittime contro una nave americana nel mar Rosso, potrebbe mettere in moto una spirale incontrollabile, anche perché gli statunitensi hanno fatto sapere fin dall’inizio che non escludono l’ipotesi di colpire obiettivi in territorio iraniano.
Nel mar Rosso gli Stati Uniti tengono gli occhi aperti per scoprire le vere intenzioni dell’Iran: si tratta solo di azioni per esprimere sostegno a Hamas o siamo davanti a un’escalation?
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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