La domanda è stata posta dal commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton: davvero l’Europa è condannata a lasciare che il suo destino sia deciso ogni quattro anni dagli elettori statunitensi? Mai prima d’ora questo interrogativo era sembrato così calzante. Con le primarie americane sostanzialmente concluse, infatti, è chiaro che il prossimo 5 novembre ci sarà una riproposizione dello scontro del 2020 tra Joe Biden e Donald Trump.

A lungo fiduciosi o indifferenti, ora gli europei vedono avvicinarsi, come in un film dell’orrore, la possibilità piuttosto concreta di una vittoria del candidato repubblicano. Il risveglio è arrivato il mese scorso con il discorso provocatorio con cui Trump ha minacciato di abbandonare nelle grinfie della Russia i paesi della Nato che non danno abbastanza soldi all’alleanza. Nel frattempo l’ex presidente ha sconfitto Nikki Haley, che lo ha sfidato strenuamente e ora si è ritirata, e oggi si ritrova in testa ai sondaggi, sia in quelli nazionali sia in quelli che riguardano i cosiddetti swing states, gli stati in cui c’è incertezza sul risultato finale.

Lo spettro di un nuovo mandato di Trump sta cominciando a occupare la mente dei leader europei, segnati dal suo primo mandato alla Casa Bianca. L’elezione di un amico dell’Europa come Biden aveva rassicurato, se non addirittura narcotizzato, molti capi di governo.

Questa preoccupazione ha un ruolo importante nel cambiamento di toni adottato da Emmanuel Macron sull’Ucraina. Dopo aver dichiarato di non escludere l’invio di truppe sul campo, questa settimana il presidente francese ha sorpreso tutti quelli che erano rimasti fermi ai suoi tentativi di gestire la Russia, pronunciando a Praga un’arringa contro “la vigliaccheria”.

Ma l’Europa è ancora lontana dall’esprimere una posizione unica. Al contrario, oggi vediamo il germe della divisione affiorare nuovamente tra i 27, in un momento in cui gli aiuti statunitensi a Kiev sono bloccati e l’Ucraina è militarmente in difficoltà. In settimana un diplomatico europeo mi ha confidato che in caso di vittoria di Trump c’è il rischio che alcuni leader dell’Unione attraversino l’oceano Atlantico per cercare di entrare nelle grazie del nuovo presidente.

Il trauma di una rielezione di Trump sarebbe enorme, con una Russia rinvigorita dal ripiegamento degli Stati Uniti e un’alleanza atlantica privata della sua leadership. Non è detto che tutto questo si realizzi, ma è sempre meglio prepararsi al peggio.

L’Ucraina sarà il banco di prova della capacità degli europei di decidere e agire insieme, non per fare la guerra alla Russia, nessuno lo propone e nessuno lo desidera, ma per evitare che Kiev sia costretta a negoziare con Mosca da una posizione di totale svantaggio, con conseguenze pessime per l’Europa.

Tutto questo ha una grande importanza nel dibattito in vista delle elezioni europee di giugno. L’argomento sarà al centro degli incontri europei e transatlantici dei prossimi mesi, che culmineranno con il vertice per i 75 anni della Nato in programma a luglio a Washington, pochi mesi prima del voto statunitense.

Il dibattito non è basato su un “pro o contro gli americani”, ma piuttosto su un “pro o contro l’Europa”. Come dichiarava il mese scorso il primo ministro polacco Donald Tusk, “se affidiamo la difesa dell’Europa unicamente alla buona volontà e alla disponibilità degli Stati Uniti, prima o poi andremo incontro a una catastrofe”. Questa catastrofe potrebbe chiamarsi Donald Trump.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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