Non è facile essere un miliardario in Cina. Per molto tempo Jack Ma, fondatore della piattaforma Alibaba, è stato l’uomo più ricco del paese e dell’Asia, considerato un eroe in patria. Poi però è caduto in disgrazia per una critica troppo diretta al sistema bancario di stato ed è “sparito”, come dicono in Cina. Alla fine Jack Ma è ritornato, ma si è del tutto eclissato.

A prendere il posto di Ma sul podio della ricchezza è stato Zhong Shanshan, miliardario che ha fatto fortuna con l’acqua minerale e con il marchio Nongfu Spring. A sua volta Zhong è finito al centro di una tempesta scatenata online da alcuni nazionalisti. I motivi? Non è abbastanza patriottico e ha un figlio con passaporto statunitense, per non parlare del fatto che uno dei tappi delle bottiglie del suo marchio somiglia troppo alla bandiera giapponese.

L’attacco online contro Zhong dura ormai da settimane, tollerato dalla censura cinese, che quando vuole sa come intervenire. Le azioni della Nongfu Spring sono precipitate e l’azienda ha dovuto rinunciare ad alcuni eventi promozionali a causa del clima ostile. Zhong non è né il primo né l’ultimo a subire gli effetti dell’ira degli ultranazionalisti, anche se la tolleranza delle autorità fa riflettere.

Questa ostilità spinge a interrogarsi sulla natura del sistema cinese. Negli anni duemila avevamo pensato che l’ascesa del settore privato, di cui Ma era il simbolo, fosse inarrestabile, nonché la prova della fine dell’onnipotenza delle ideologie, in Cina come altrove.

Tuttavia, dalla sua conquista del potere nel 2012, Xi Jinping ha rimesso al posto di comando l’ideologia e il Partito comunista cinese, di cui è il capo assoluto. Il risultato è stato un ridimensionamento del settore privato. Di recente ho assistito a un colloquio tra un funzionario cinese e un uomo d’affari straniero, che gli faceva notare quanto fosse ormai difficile investire nelle aziende private in Cina. Risposta del funzionario: “La Cina è una nazione socialista, è normale che la priorità sia data al settore statale”.

Dieci anni fa lo stesso funzionario avrebbe probabilmente risposto con un linguaggio ambiguo, parlando di “socialismo di mercato”, ma oggi questo pudore non è più di moda. Il problema è che tutto questo non favorisce l’economia cinese.

La Cina non è uscita bene dagli anni della pandemia e oggi la crescita bassa pesa senz’altro sul clima politico. Anche se i leader cinesi non lo ammetteranno mai, le difficoltà sono dovute in parte al calo della forza d’attrazione e della fiducia nelle possibilità del paese. Di sicuro gli investitori non sono stati rassicurati dalla nuova legge sulla sicurezza adottata a Hong Kong (in passato porta d’ingresso dei capitali esteri) né tantomeno dalle tensioni militari nel mar Cinese meridionale o nello stretto di Formosa.

A maggio Xi Jinping è atteso in Francia per la sua prima visita in un paese occidentale dopo la pandemia. Ufficialmente Xi arriverà per celebrare il sessantesimo anniversario del riconoscimento della Cina di Mao da parte del generale Charles De Gaulle, ma in questo momento segnato dalle tensioni internazionali la posta in gioco sarà ben più alta.

La Cina continuerà a irrigidirsi sul fronte internazionale come ha già fatto su quello interno? Dalla risposta a questa domanda dipenderà parte dell’equilibrio mondiale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it