Quando due paesi equiparabili come la Francia e il Regno Unito votano nello stesso momento ma vanno in direzioni opposte, è sicuramente il caso di provare a capirne le ragioni. I francesi saranno chiamati alle urne domenica prossima e quella successiva, mentre giovedì toccherà ai britannici. In entrambi i casi si tratta di elezioni legislative anticipate, che secondo le previsioni si concluderanno con una forte sconfitta dei partiti di governo.
Ma le similitudini finiscono qui. Londra, infatti, dovrebbe svoltare a sinistra, mentre la Francia assiste a una prepotente ascesa dell’estrema destra insieme a una polarizzazione assoluta dello spazio politico. Questa differenza nasce dal fatto che nei due paesi sono in corso cicli politici diversi. Qualche giorno fa, dalle pagine del Figaro, l’ex negoziatore europeo per la Brexit Michel Barnier si è domandato se i britannici non abbiano semplicemente “otto anni di vantaggio su di noi”. Spiegazione: i britannici stanno cercando di correggere attraverso l’alternanza politica il colossale errore della Brexit, mentre ora tocca alla Francia cedere alle sirene del populismo.
Nel 2015 il primo ministro conservatore David Cameron aveva organizzato un referendum sull’uscita dall’Unione europea nella convinzione di poterlo vincere, ma una campagna demagogica e piena di disinformazione aveva prodotto il risultato opposto, a cui sono seguiti anni di negoziati terribili, governi incompetenti, divisioni e un crollo dell’economia.
Oggi il Partito laburista sta per riconquistare il potere dopo una lunga traversata del deserto a causa del radicalismo politico e dopo aver ritrovato un programma meno divisivo e un leader su cui c’è più consenso, Keir Starmer. La vittoria del Labour non farà rientrare il Regno Unito in Europa, ma almeno dovrebbe ripristinare alcuni legami e curare le ferite.
La Francia, al contrario, rischia di vivere il suo momento Brexit, ovvero un salto nel vuoto dalle conseguenze imprevedibili per il paese, per i cittadini e per l’Europa. Il momento Brexit originale è arrivato quando una maggioranza dei britannici si è convinta che il paese, una volta libero dalla morsa di Bruxelles, avrebbe ritrovato la grandezza passata. Ed è successo il contrario: il tenore di vita è diminuito e l’influenza britannica si è ridotta.
Nel suo articolo, Michel Barnier ricorda la frase pronunciata da Marine Le Pen la sera del voto sulla Brexit: “Esultiamo con i britannici che hanno colto questa straordinaria opportunità per liberarsi dalla schiavitù”. Oggi, davanti al fallimento innegabile della Brexit, il Rassemblement national non propone più una Frexit. Ma è possibile che il partito di Le Pen cambi nuovamente idea? Possiamo dare per scontato che la politica di un governo di estrema destra in Francia comporterebbe un indebolimento dell’Europa? Sono domande che è lecito farsi.
L’ex negoziatore europeo invita a trarre “lezioni francesi dalla Brexit”, ma farlo sembra impossibile in un momento politico così particolare, e caratterizzato da precise dinamiche nazionali.
Il 18 luglio il nuovo primo ministro britannico (sicuramente Starmer) ospiterà nel Regno Unito il terzo vertice della Comunità politica europea, una piattaforma proposta da Emmanuel Macron due anni fa. Per i britannici significherà cominciare a voltare pagina rispetta alla Brexit, mentre è difficile dire in che condizioni si presenterà la Francia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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