Seguire le peripezie politiche francesi dagli Stati Uniti, dove mi trovo in questo momento, significa dover dividere il proprio cervello in due schermi separati: da un lato lo spettacolo inedito dopo il voto in Francia, con alleanze variabili e spesso sulfuree, e una spaccatura in tre blocchi contrapposti; dall’altro una campagna elettorale segnata da incredibili colpi di scena, dall’attentato fallito contro Donald Trump alla drammatica uscita di scena di un presidente ormai anziano, messo sotto pressione dal suo partito e dai suoi alleati.

Non proprio una dimostrazione di buona salute per le due democrazie che si osservano a vicenda sulle due sponde dell’Atlantico, insomma. Più in generale, la situazione solleva diversi interrogativi sullo stato della democrazia rappresentativa in sé e sugli equilibri mondiali, su cui Francia e Stati Uniti hanno un peso rilevante.

Se esiste un punto in comune tra la società francese e quella statunitense è senz’altro la delusione di un’enorme fetta della popolazione (testimoniata dai sondaggi) davanti alla disfunzionalità delle vecchie democrazie, percepite come inefficaci, piegate all’influenza dei capitali e insensibili ai problemi delle persone. Il cantiere del rinnovamento democratico non è ancora aperto, né in Francia né negli Stati Uniti, e gli eventi del 2024 dimostrano che gli interessi partigiani predominano sulla necessità di ripensare il sistema e il suo funzionamento.

Ma l’aspetto più preoccupante a breve termine è soprattutto l’impatto di queste due crisi sistemiche sugli equilibri mondiali. Gli Stati Uniti sono e restano la prima potenza mondiale, con la prima economia, il primo esercito e le più grandi aziende tecnologiche. Qualsiasi fluttuazione o inversione di rotta a Washington, come un effetto farfalla, si ripercuote su tutti i continenti, su tutte le guerre e su tutte le debolezze di un pianeta in ebollizione. È precisamente ciò che rischia di succedere se Donald Trump e il suo vice JD Vance dovessero vincere le elezioni del 5 novembre con le loro idee di estrema destra. Ed è questo che Kamala Harris cercherà di evitare, per gli Stati Uniti e per il mondo, quando si troverà in prima linea in quello che sarà un confronto brutale.

La Francia non ha l’impatto globale del suo alleato statunitense, ma è uno dei paesi che propongono da più tempo all’Europa di organizzarsi in vista di un’eventuale eclisse americana. Il problema è che Parigi, proprio nel momento decisivo, sembra entrata in una zona di turbolenza che la rende meno influente, per non dire irrilevante. È una pessima notizia, perché tra qualche mese gli europei rischieranno di sentirsi mancare la terra sotto i piedi nel caso in cui a Washington fosse eletto un presidente che non ama il vecchio continente, mantiene un approccio alla diplomazia basato sul “Se pagate vi difendiamo” e riporta in auge slanci isolazionisti dovuti all’ossessione cinese.

In questo momento parlare con gli esponenti dell’establishment statunitense fa uno strano effetto, sia quando loro mi chiedono informazioni su cosa sta accadendo in Francia sia quando io cerco di strappargli un’analisi sugli Stati Uniti. È chiaramente un momento segnato da sguardi incrociati su due crisi politiche, che si sviluppano in sistemi e culture diverse ma con alcuni punti in comune: la rivolta degli esclusi dal sistema, che si ritrovano a votare i populisti; l’emergere di una corrente di estrema destra che non ha le stesse origini storiche e sociali ma converge su temi come l’immigrazione, la sicurezza e una fascinazione per la Russia di Putin; e infine elettori che si affidano a mezzi d’informazione alternativi impegnati a soffiare sull’odio contro il giornalismo mainstream visto come asservito ai potenti.

La cultura politica francese e quella statunitense sono molto diverse, ma queste convergenze – che avevamo già sottolineato nel 2016, anno fatidico della Brexit e della vittoria di Trump – si ritrovano nel 2024, in tempi caratterizzati dall’ascesa dell’estrema destra in Europa e del possibile ritorno di Trump. Stranamente, oggi ognuno resta nella sua bolla nazionale senza notare le tendenze preoccupanti all’opera oltre i confini, che meriterebbero sicuramente una riflessione mondiale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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