In quale altro paese in guerra c’è uno sciopero generale per influenzare la strategia militare? In quale centinaia di migliaia di persone scendono in piazza per chiedere l’uscita di scena del primo ministro pur condividendo le ragioni della guerra in corso?

Questo paese è Israele, segnato da una complessità in cui coabitano una reale democrazia e un sistema di occupazione illegale dei territori palestinesi, oltre ad atti di guerra di una brutalità inimmaginabile.

Lo stato ebraico è spaccato da tempo, da ben prima del 7 ottobre 2023. Il governo di Benjamin Netanyahu aveva già provocato proteste massicce contro i suoi progetti di riforme istituzionali, ma la guerra che dura da undici mesi e soprattutto il calvario degli ostaggi scavano nuove fratture.

La scoperta a Gaza dei cadaveri di sei ostaggi uccisi da Hamas ha suscitato un’ondata di collera. Questa rabbia, però, è diretta contro Netanyahu. Evidentemente è stato Hamas a catturare gli ostaggi civili e a uccidere i sei israeliani trovati morti in un tunnel, ma i manifestanti danno la colpa al primo ministro e al suo rifiuto di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco con Hamas, che avrebbe permesso di liberare gli ostaggi ancora in vita, compresi probabilmente i sei appena ritrovati.

I manifestanti sono convinti che Netanyahu e la sua coalizione, di cui fa parte un’estrema destra violenta, moltiplicano gli ostacoli al negoziato guidato dagli statunitensi. L’ultimo ostacolo della lista è la pretesa di una presenza dell’esercito israeliano nel corridoio di Filadelfia, una striscia di terra alla frontiera tra Gaza e l’Egitto. I partiti di estrema destra minacciano di lasciare la coalizione e far cadere il governo se Netanyahu accetterà l’accordo proposto da Joe Biden.

L’elemento nuovo è lo sciopero generale che ha paralizzato il paese la mattina del 2 settembre e ha coinvolto anche l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, chiuso per qualche ora. La Histadrut, grande organizzazione sindacale, ha avuto un suo ruolo nella storia israeliana. All’epoca del mandato britannico è stata guidata da David Ben Gurion, il fondatore dello stato ebraico.

Eppure, finora, Netanyahu ha saputo resistere alla pressione della piazza. Il 2 settembre il capo del governo si è mostrato combattivo, accusando i manifestanti di fare il gioco di Yahya Sinwar, capo di Hamas che si nasconde a Gaza. La principale preoccupazione di Netanyahu, però, è chiaramente quella di tenere in piedi la maggioranza. Non sarà facile.

Al di là della sopravvivenza del governo, il vero interrogativo riguarda questa guerra senza fine e le sue atrocità, per gli ostaggi e per i due milioni di abitanti di Gaza sottoposti a una punizione collettiva. Resta il fatto che i manifestanti non provano la minima simpatia per i palestinesi in questa fase di scontro interno, ma vogliono solo recuperare gli ostaggi e puntano l’indice contro un primo ministro che fa passare in secondo piano questo obiettivo.

Il momento del dibattito sul dopoguerra non è ancora arrivato, ma promette già nuovi dilemmi e nuovi contrasti per una popolazione ormai disorientata.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it