Non vorrei rovinare i vostri acquisti natalizi, ma c’è una vicenda che chiama in causa tutti noi, consumatori non proprio innocenti. Questa settimana il governo della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) ha presentato una denuncia, in Francia e Belgio, contro la Apple, produttrice degli iPhone e di altri dispositivi. Il motivo? L’uso da parte dell’azienda statunitense (ma vale anche per altri marchi) dei minerali provenienti dall’est del paese, dove sono in corso diversi conflitti che sollevano forti dubbi sulla provenienza, le condizioni di estrazione e la commercializzazione di questi minerali.

Il fenomeno non è affatto nuovo. John le Carré ci ha scritto un romanzo nel 2006, Il canto della missione, cercando ispirazione dopo la guerra fredda. L’iniziativa congolese ricorda la famosa campagna degli anni novanta per fermare il contrabbando di diamanti da parte delle organizzazioni armate. All’epoca si parlava di blood diamonds, diamanti di sangue. In questo caso non si tratta di diamanti ma di minerali di sangue.

Il contesto è quello caotico nell’est della Repubblica Democratica del Congo, dove negli ultimi decenni i morti si contano a milioni. Il governo di Kinshasa ritiene che la Apple sia “complice” del saccheggio delle risorse naturali compiuto dalle milizie. Tra queste risorse ci sono tre minerali utilizzati nella fabbricazione di smartphone e computer: lo stagno, il tantalio e il tungsteno. La Apple ha negato le accuse e dichiara di controllare accuratamente la provenienza di tutte le forniture.

È una faccenda complessa che vede coinvolte diverse parti. Il governo congolese attacca la multinazionale statunitense, ma il vero obiettivo dell’offensiva è il Ruanda, con cui il paese confina a est. Il Ruanda è in effetti coinvolto nei conflitti che scuotono le province orientali del territorio congolese, come dimostrano diversi rapporti dell’Onu. Finora ogni tentativo di mediazione è fallito, compreso quello di questa settimana in Angola, dove un importante vertice è stato annullato.

Il Ruanda sostiene il gruppo armato M23, molto potente nell’est della Rdc. Kinshasa accusa i combattenti di rubare le risorse e di trasferirle in Ruanda. Da queste schermaglie deriva la denuncia contro il destinatario dei minerali, la Apple. Al momento non è nemmeno certo che la Rdc voglia davvero ottenere una condanna nei confronti dell’azienda. Di sicuro il governo congolese intende scaricare le responsabilità della crisi sul Ruanda e far dimenticare la propria negligenza in una regione molto lontana dalla capitale.

Parliamo di una crisi dai molti volti. Le autorità congolesi hanno una buona parte di responsabilità nello sfruttamento indiscriminato di tutti i minerali presenti nel sottosuolo dell’est del paese, in condizioni sociali e ambientali scandalose. Da anni circolano video che mostrano bambini costretti a lavorare nel fango agli ordini di intermediari poco raccomandabili.

A intervalli regolari le ong denunciano le condizioni di lavoro, ma nessuno presta ascolto. La causa intentata dal governo di Kinshasa potrebbe però avere un effetto boomerang, mettendo in evidenza tutti gli aspetti dello scandalo dei minerali congolesi, dalle ingerenze straniere all’assenza di regole, fino alle responsabilità delle autorità e delle aziende, che preferiscono chiudere un occhio.

Alla fine della catena ci siamo noi, i consumatori irresponsabili. Non volevo rovinarvi il Natale, ma forse è il caso di fare qualche riflessione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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