Non è un’elezione presidenziale come le altre. Prima di tutto perché arriva dopo due anni in cui l’incarico di presidente del Libano è rimasto vacante (in autunno il paese era in guerra ma non aveva un capo dello stato), e in secondo luogo perché si tratta di una votazione senza campagna elettorale, senza programmi, senza slogan e senza partecipazione popolare. Il risultato del voto, in programma il 9 gennaio, non deriverà dalla capacità di convincere dei candidati, ma da un accordo tra i leader dei clan forzato dalle pressioni della comunità internazionale.

Questo clima particolare è ben visibile dal fatto che l’emissario francese Jean-Yves Le Drian, uno dei “padrini” del voto, sarà presente in parlamento quando i deputati prenderanno la loro decisione. Il suo omologo americano Amos Hochstein ha appena lasciato Beirut, così come il capo della diplomazia saudita Faiçal bin Farhan al Saoud, altro protagonista di questo psicodramma.

Il prodotto delle trattative costanti degli ultimi giorni, salvo colpi di scena dell’ultima ora, sarà che al termine della giornata il Libano avrà un presidente, con ogni probabilità il generale e attuale capo dell’esercito nazionale Joseph Aoun.

Cosa ha permesso lo sblocco della situazione dopo due anni di stallo? Il contesto regionale e nazionale è cambiato radicalmente dopo il 7 ottobre 2023, soprattutto negli ultimi mesi con un indebolimento considerevole di Hezbollah a causa della guerra con Israele. Il movimento sciita filoiraniano ha perso il suo leader storico Hassan Nasrallah e gran parte delle sue capacità militari. L’Iran non se la passa meglio dopo la caduta del regime di Bashar al Assad in Siria.

Hezbollah era il chiavistello della vita politica libanese, ma ora non ha più i mezzi per controllare la situazione, anche se il peso demografico della comunità sciita è ancora rilevante.

L’organizzazione ha cancellato all’ultimo momento le obiezioni alla candidatura di Aoun durante un’incontro tra Le Drian e il capo del blocco parlamentare di Hezbollah. Diversamente dagli americani, i francesi sono riusciti a mantenere un contatto con l’ala politica del movimento, considerato una formazione terrorista in Europa e negli Stati Uniti.

Quali cambiamenti porterà l’elezione di un presidente? Dalla Francia sottolineano che un nuovo fallimento nella giornata del 9 gennaio avrebbe conseguenze disastrose, perché la comunità internazionale volterebbe le spalle al Libano in un momento in cui il paese ha bisogno di sostegno per salvare il cessate il fuoco con Israele, di rafforzare il suo esercito e di ricevere aiuti per la ricostruzione. L’elezione del nuovo capo dello stato, in questo senso, rappresenterebbe un primo passo.

I veri sconfitti sono tutti quelli che ancora sognano un Libano libero dal confessionalismo, dalle macchinazioni degli eredi della guerra civile e dalle ingerenze regionali. Dopo l’esplosione del porto di Beirut del 4 agosto 2020, una rivolta dei giovani aveva abbattutole barriere comunitarie.

Ma l’onda è stata repressa e si è infranta. Il Libano non ha vissuto la sua primavera, perché all’epoca Hezbollah era ancora onnipotente (e lo è ancora per molti).

Anche se il generale cristiano sarà eletto presidente, in Libano bisognerà ricostruire tutto. Intanto, alle porte del paese, c’è una Siria ancora in bilico, mentre la pace con Israele appare fragile e lo stato esiste soltanto a intermittenza. Il compito di Aoun non sarà quello di cambiare tutto, ma soltanto di limitare i danni. È già qualcosa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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