È un fatto insolito nel sistema statunitense. Di questi tempi non passa giorno senza che il vicepresidente JD Vance non faccia parlare di lui, e non certo per questioni di poco conto. Vance, che ha quarant’anni e collabora con un presidente che ha quasi il doppio della sua età, ha un peso rilevante sulle scelte politiche del governo e sta preparando il suo futuro per il dopo Trump.
Questa settimana è finito sotto l’occhio dei riflettori due volte: la prima, involontariamente, per la sua partecipazione al gruppo Signal che ha scatenato una tempesta a Washington, e la seconda per essersi autoinvitato in Groenlandia, dove sua moglie avrebbe dovuto arrivare da sola, in uno di quei pasticci diplomatici che sembrano il pane quotidiano dell’amministrazione Trump.
Nel corso dello scambio di messaggi su Signal rivelato dal direttore dell’Atlantic Jeffrey Goldberg, Vance ha scritto una frase molto significativa, chiedendosi se Trump fosse “davvero consapevole” della contraddizione tra l’azione militare imminente nello Yemen (argomento di discussione del gruppo) e il suo messaggio politico.
Le parole di Vance hanno lasciato trapelare un dubbio sulla coerenza del presidente statunitense sull’uso della forza militare.Tanto è bastato a spingere il vice a pubblicare subito un comunicato per ribadire il suo “sostegno inequivocabile alla politica estera dell’amministrazione”. Il New York Times ha titolato: “Vance cerca di dimostrare la sua lealtà a Trump”.
L’incidente, un dettaglio nello scandalo più vasto del cosiddetto Signalgate, è emblematico del percorso di Vance. Il vicepresidente non è affatto un trumpiano della prima ora, e in passato ha addirittura paragonato il leader repubblicano a Hitler, prima di rientrare nei ranghi ed essere scelto come vice alle presidenziali dell’anno scorso. Dunque la sua lealtà non è di lungo corso.
Le incertezze nascono anche dal fatto che Vance incarna una posizione ideologica particolare all’interno della galassia del trumpismo. Il vicepresidente viene dal mondo della tecnologia, che ha un ruolo di primo piano nell’amministrazione attuale. Il suo ingresso in politica è stato sponsorizzato da Peter Thiel, uno dei principali oligarchi del settore e tra i fondatori dell’azienda PayPal insieme a Elon Musk.
Vance ha una doppia ambizione. La prima, ideologica, è quella di operare durante il mandato di Trump per riconciliare la tecnoutopia della Silicon valley con il populismo del presidente. Oggi, questi due mondi sono in contrapposizione, anche se condividono un approccio antidemocratico. Ma Vance, grazie alle sue radici umili e al percorso meritocratico, potrebbe unire i due contraddittori universi trumpiani.
La seconda ambizione è un segreto di pulcinella: Vance vorrebbe diventare il successore di Trump fra quattro anni, quando avrà dalla sua parte l’età e l’esperienza. Il problema è che il presidente statunitense ha già risposto “no” quando gli è stato chiesto se potrebbe succedere, senza dubbio per preservare la propria autorità in questo mandato.
Nell’attesa, Vance continua a occupare lo spazio politico come pochi vicepresidenti avevano fatto prima di lui, e sicuramente molto più di Kamala Harris durante il mandato di Joe Biden. In settimana, poi, avrà l’occasione di portare i colori del trumpismo imperiale in Groenlandia, rubando la scena a sua moglie.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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