La decisione del ministro della giustizia statunitense Eric Holder di avviare un’indagine federale per gli abusi commessi sui prigionieri detenuti dalla Cia è solo un piccolo passo. E s’inserisce nel più vasto problema che ogni popolo e ogni governo del mondo devono porsi: come applicare le leggi di guerra in modo ragionevole e al tempo stesso efficace.

La decisione di indagare sulla condotta della Cia è stata assunta da Washington più o meno contemporaneamente a quella di continuare a mandare prigionieri in paesi terzi, controllando però le loro condizioni di detenzione per accertarsi che non vengano torturati.

Questa misura contro la tortura non è credibile, ed è probabile che gli Stati Uniti continueranno a mandare prigionieri in paesi stranieri dove saranno maltrattati e soggetti ad abusi inflitti per strappargli informazioni utili nella “guerra al terrorismo”.

Un particolare ironico: ho appreso la decisione del dipartimento di giustizia americano di indagare sui comportamenti della Cia mentre ero a Ginevra per partecipare alle riunioni semestrali del comitato consultivo internazionale del Cicr, il Comitato internazionale della Croce rossa. Il Cicr è l’istanza neutrale e indipendente incaricata di far sì che tutti osservino le norme del diritto internazionale umanitario.

Questo mese il Cicr e il mondo intero festeggiano il sessantesimo anniversario delle quattro convenzioni di Ginevra che costituiscono, con i loro protocolli, la struttura portante del diritto internazionale umanitario, destinato a tutelare i civili e le persone in stato di bisogno in caso di conflitto armato.

La “guerra al terrorismo” guidata dagli Stati Uniti ha rappresentato una nuova sfida per quanti hanno il compito di monitorare il rispetto internazionale delle convenzioni di Ginevra e di tutte le leggi per la tutela dei civili. Queste convenzioni hanno il notevole pregio di essere state ratificate da tutti i paesi del mondo, e quindi godono di un importante consenso.

Con un understatement tipicamente svizzero, Knut Dormann, capo dell’ufficio legale del Cicr, ha dichiarato: “Mi sembra che si possa affermare che gli attentati dell’11 settembre 2001 e gli eventi successivi sono tra le prove più dure sostenute finora dal diritto internazionale umanitario”.

Tra i punti da chiarire, ha suggerito Dormann, ci sono le condizioni per la detenzione di sospettati e di prigionieri e le garanzie procedurali che i detenuti dovrebbero avere in base al diritto internazionale umanitario.

I problemi tecnici di applicabilità di queste norme continueranno a essere affrontati sia a livello internazionale sia dai singoli paesi, come stanno appunto facendo gli Stati Uniti con questa decisione di indagare sulla condotta della Cia.

A chi obietta che indagare così sulla Cia è irresponsabile, o almeno inopportuno, il ministro Eric Holder ha risposto così: “La carica che ricopro mi impone di esaminare i fatti e di obbedire alla legge”.

Holder poi ha precisato di agire in base a una raccomandazione dell’ufficio per la deontologia del dipartimento della giustizia e al contenuto di un rapporto del 2004 dell’ispettore generale della Cia sugli interrogatori condotti dall’agenzia.

Il rapporto, reso pubblico pochi giorni fa, contiene molti particolari sulle varie tecniche di tortura e di abuso usate nelle prigioni segrete della Cia sparse per il mondo, di cui il presidente Obama ha ordinato la chiusura. Però è probabile che queste torture proseguiranno nelle carceri del terzo mondo dove gli Stati Uniti continueranno a inviare prigionieri.

Il primo punto decisivo, qui, è se un’azione legale può imporre a persone o istituzioni responsabili di comportamenti impropri di rendere conto delle proprie azioni. In alcuni casi si potrà forse ricorrere al diritto nazionale per processare singoli torturatori o colpevoli di comportamenti criminali.

Nei casi più gravi, il mondo oggi è in grado di indagare sui crimini di guerra e di punirli attraverso tribunali internazionali come quelli istituiti a suo tempo per il Ruanda, per la Sierra Leone e per l’ex Jugoslavia, oltre che naturalmente attraverso la Corte penale internazionale.

Ma il compito più difficile sarà costringere i governi a rendere conto della propria condotta. E su questo punto le finezze giuridiche si scontrano con la forza bruta del potere politico. Con la pubblicazione di alcuni rapporti riservati e con la chiusura delle prigioni segrete della Cia all’estero, il governo statunitense sta compiendo piccoli ma significativi passi in direzione di un’indagine sul comportamento tenuto negli ultimi anni dalla sua intelligence.

Però sembra che non esistano mezzi per costringere il governo degli Stati Uniti e di altri paesi invasori a rispondere legalmente delle conseguenze e dei costi delle loro scelte di politica estera, tra cui la guerra in Iraq e quella in Afghanistan.

È quindi prevedibile che l’illegalità e il terrore rimarranno un problema globale ancora per anni. Perché se si vuole che le tutele giuridiche siano minimamente vincolanti, bisogna renderle universalmente applicabili.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 810, 28 agosto 2009*

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it