Un amico mi ha scritto recentemente parlandomi di una questione etica. Stava progettando un viaggio lontano, per visitare la sua famiglia, ma sapeva benissimo che il volo avrebbe avuto un forte impatto ambientale. Come poteva rendere giustificabile il suo spostamento?
Gli ho suggerito d’informarsi su quale sarebbe stata la sua impronta di carbonio (una tonnellata di CO2, a quanto pare) e d’immaginare poi un’ipotetica tassa sulle emissioni. Sarebbe comunque stato disposto a viaggiare se avesse dovuto pagarla? In caso negativo, il viaggio non valeva la pena. Il mio consiglio solleva la questione di cosa dovrebbe essere questa tassa sulle emissioni di carbonio (carbon tax).
Con una tassa sulle emissioni di cinque sterline (circa sei euro) per tonnellata di CO2 – molte delle emissioni globali di gas serra sono tassate meno di così – la tassa supplementare su quella tonnellata, per il volo di ritorno, sarebbe trascurabile. Con un aumento più sostanzioso, 50 sterline, la tassa sarebbe consistente ma forse non decisiva (il sistema di scambio delle emissioni nell’Ue e nel Regno Unito, fino a poco tempo fa, prevedeva circa cinquanta sterline per tonnellata di CO2. In seguito il prezzo nel Regno Unito è cresciuto molto. E negli Stati Uniti i democratici stanno elaborando una loro versione della carbon tax).
Domande difficili
Se la tassa sulle emissioni arrivasse a 500 sterline per tonnellata di CO2, il mio amico sarebbe costretto a restare lontano dalla sua famiglia più a lungo di quanto fa abitualmente la maggior parte di noi. Mi rendo conto che è donchisciottesco consigliare di prendere decisioni di consumo personale basandosi su una tassa completamente ipotetica, ma serve per arrivare al nocciolo della questione. La tassa non è solo un incentivo a cambiare i comportamenti, ma ci dice anche quale sia il comportamento che dobbiamo cambiare con più urgenza, un’informazione che oggi è quasi irraggiungibile. Le catene globali delle forniture sono straordinariamente complesse, e consegnano prodotti che hanno un’impronta ecologica difficile da quantificare per i consumatori.
Il quadro generale è piuttosto evidente: volare è una brutta cosa, andare in bici è meglio che andare in auto, i doppi vetri sono una buona idea. Ma è meglio comprare pomodori britannici, magari coltivati in serre riscaldate, o la varietà spagnola, che percorre più chilometri? Anche per i più attenti, si tratta di domande difficili.
Il prezzo di tutto ciò compriamo è legato al costo delle risorse necessarie a produrlo e a consegnarlo
Circa un decennio fa Mike Berners-Lee pubblicò How bad are bananas? (Quanto male fanno le banane?), un libro che spiegava l’impatto ambientale di vari prodotti di uso quotidiano (le banane in realtà non sono così nocive). Il titolo allude al fatto che è un’impresa disperata aspettare che i consumatori sconfiggano volontariamente i cambiamenti climatici. Quanto è dannoso per il clima il vino rosso? E uno smartphone? Tutti prendiamo ogni giorno miliardi di decisioni su cosa comprare, come viaggiare e a che temperatura fissare il termostato. Non possiamo decidere ogni volta leggendo il libro di Berners-Lee, e una tassa sulle emissioni sarebbe efficace proprio perché non lo renderebbe necessario. Il prezzo di tutto ciò che compriamo è legato al costo delle risorse necessarie a produrlo e a consegnarlo.
Legame nebuloso e reale
Se un prodotto richiede mezzo ettaro di terreno, tonnellate di materiale grezzo, megawattore di energia e vari giorni di lavoro qualificato, si può stare certi che non sarà a buon mercato. Il legame tra prezzo e costo è nebuloso ma reale. Eppure il peso delle emissioni di gas serra non è rispecchiato in quel costo. Una tassa sulle emissioni modifica questa situazione rendendo l’impatto sul clima un costo reale come tutti gli altri. Invia un segnale a tutte le filiere di produzione, spingendole a scegliere l’alternativa meno inquinante.
Magari qualche consumatore deciderà che il costo di una maglietta che include la tassa sulle emissioni sia troppo caro, ma nel frattempo l’impianto tessile cercherà di risparmiare elettricità, e il fornitore elettrico passerà all’energia solare. Ogni segmento della catena di valore diventerà più verde.
Decarbonizzare l’economia mondiale può apparire uno sforzo titanico, ma può sembrare più realizzabile se lo pensiamo come un’infinità di piccoli passi
Grandi cambiamenti potrebbero essere realizzabili con una tassa sul carbonio sorprendentemente leggera. Il Fondo monetario internazionale ha suggerito che potrebbe esserne necessaria una da 75 dollari (64,5 euro) per tonnellata di CO2. Ma anche con una da cento sterline (118 euro) alla tonnellata – circa il doppio – l’impatto sulla vita quotidiana potrebbe essere minore di quel che la maggior parte delle persone si aspetterebbe.
Nel Regno Unito le emissioni annuali pro capite di CO2 sono meno di sei tonnellate, a cui si aggiungono due o tre tonnellate che riflettono l’impatto ambientale dei beni importati. Una tassa da cento sterline alla tonnellata che coprisse quelle emissioni aumenterebbe il costo della vita di appena due sterline (2,36 euro) al giorno, e coprirebbe più del 5 per cento del gettito fiscale britannico. Non è una cosa da niente: il governo farebbe bene a spedire a ogni cittadino una piccola somma come compensazione.
Il peso della misura non dovrebbe poi essere ripartito in maniera uniforme: chi ha speso un sacco, volato un sacco, guidato molto o riscaldato case grandi e piene di spifferi, pagherebbe di più. E probabilmente non si noterebbe alcuna differenza nel prezzo delle banane.
Il caffè offre un esempio illuminante di come questo cambiamento sarebbe perlopiù impercettibile. Secondo Mark Maslin e Carmen Nab dello University College London, un chilo di chicchi di caffè consegnato nel Regno Unito ha generalmente un impatto ambientale di circa 15 chili di CO2. Se coltivato e spedito in maniera più sostenibile, l’impatto è di 3,5 chili. Una tassa sulle emissioni da cento sterline alla tonnellata sarebbe quindi di 1,50 sterline, o di 35 centesimi nel secondo caso. Si possono fare decine di caffè con un chilo di chicchi: i bevitori di caffè potrebbero non accorgersene, ma si può stare certi che produttori e addetti alle spedizioni cercheranno di spingere i loro costi più verso i 35 centesimi che verso 1,50 sterline.
I miei colleghi Gillian Tett e Simon Kuper hanno scritto a proposito dei rischi della greenflation (inflazione verde) e delle difficoltà che provocherebbe una seria tassa sulle emissioni. Fanno bene a preoccuparsi del danno politico che deriverebbe da una tassa mal architettata. Ma non bisogna farsi prendere dal panico. Decarbonizzare l’economia mondiale può apparire uno sforzo titanico, ma può sembrare più raggiungibile se lo pensiamo come un’infinità di piccoli passi.
Dalla parsimonia negli acquisti a una logistica più efficiente a fonti d’elettricità rinnovabili, le tasse sulle emissioni di CO2 ci guidano dolcemente verso soluzioni ogni volta più verdi, poco importa se siamo tormentati dal senso di colpa o allegramente disinteressati. Per questo dovrebbero essere al cuore della nostra lotta ai cambiamenti climatici.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico Financial Times.
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