Secondo lo studio indipendente Pharmaceutical research and devolopement, presentato lo scorso anno al congresso degli Stati Uniti, nel 2010 l’industria farmaceutica statunitense ha speso in ricerca e sviluppo 34 miliardi di dollari in più rispetto al 1995. Sembra una notizia positiva, ma nello stesso periodo i ricavi delle case farmaceutiche sono aumentati di duecento miliardi.

Inoltre, i loro investimenti in ricerca e sviluppo sono inferiori alle spese per il marketing, che serve soprattutto a lanciare nuovi prodotti leggermente diversi da quelli già presenti sul mercato. Questi dati provano come spesso le decisioni sul prezzo dei farmaci dipendono dalle potenzialità di profitto e dall’assenza di concorrenza per farmaci dello stesso tipo.

Di recente il colosso farmaceutico Novartis ha perso in India un ricorso per la concessione del brevetto sul chemioterapico imatinib (Glivec), perché il farmaco, o meglio una sua variante, non è stato ritenuto innovativo rispetto al prodotto d’origine del 1993. Ora in India un’azienda di farmaci generici può produrlo a 175 dollari per mese di terapia, quindici volte meno rispetto ai 2.600 della Novartis.

Come osservano Giulia Formoso e Nicola Magrini su

lavoce.info, il caso evidenzia la necessità di promuovere una maggiore sostenibilità del costo dei farmaci e di favorire lo sviluppo di nuovi prodotti sulla base di una documentata efficacia. Sarebbe opportuno avviare un confronto tra l’Organizzazione mondiale della sanità, i governi e le agenzie regolatorie per una sostanziale ridefinizione dei sistemi in vigore.

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