Learning without frontiers ha pubblicato in video interventi della conferenza di gennaio sul futuro dell’educazione. La parola è deliberatamente data a manager e (seri) divulgatori britannici per discutere how innovation happens e come possa entrare nei percorsi educativi. Emergono ovviamente questioni diverse. Per esempio Charles Leadbeater, redattore di Financial Times e Independent, mostra che l’innovazione educativa nasce negli slums, nelle periferie degli imperi economici e culturali. Conrad Wolfram discute su come colmare l’abisso tra il bisogno sociale di matematica e il mediocre insegnamento nelle scuole.
Spicca un intervento di Michael Brooks che sintetizza brillantemente il suo più recente libro di successo (Free radicals. The secret anarchy of science). Nelle scuole e nella cultura comune le scienze, soprattutto quelle dure, sono presentate come costruzioni catafratte, tutte d’un pezzo, un immenso apparato di tassonomie e deduzioni. L’immagine raggela e allontana. Ed è falsa. Dietro l’edificio tutto d’un pezzo c’è la vicenda (storica, diremmo in Italia) degli scienziati, con le loro intuizioni inizialmente dirompenti, che si affermano perfino forzando dati e vincendo gelosie, ostilità e le più o meno oneste incomprensioni dei Simplicio e dei peer reviewer. Tesi non nuove nelle periferie dell’impero. Ma è importante per chi insegna bene le scienze sapere che anche al centro trovano appoggio.
Internazionale, numero 936, 17 febbraio 2012
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it