Sono nata nel 1975, l’anno del primo congresso del Partito comunista cubano. Nel 1986, quando il Pcc si è riunito per la terza volta, è cominciato il processo di rettifica degli errori.

Nel 1991 il piatto forte è stata la flessibilizzazione che ha permesso ai religiosi di entrare nel partito, anche se la percentuale di credenti entrati nel Pcc è stata più bassa di quella degli iscritti che si sono tolti pubblicamente la maschera dell’ateismo.

A causa del periodo speciale, abbiamo dovuto aspettare fino al 1997 per vedere la quinta riunione dell‘“avanguardia organizzata della nazione cubana”. Questa volta per redigere un documento intitolato “Per la democrazia e i diritti umani che difendiamo”. Un’ironia non da poco in un paese da cui non si può uscire senza un permesso e dove sono punite l’associazione e l’espressione del dissenso.

Pochi giorni fa sono state pubblicate le linee guida del sesto congresso del Pcc. La piattaforma rafforza l’iniziativa privata e si prefigge di dare più libertà ai lavoratori autonomi.

La questione più scottante poteva essere la rielezione di Fidel Castro come eterno leader del Pcc o la sua sostituzione.

Ma le aspettative sono sfumate con l’annuncio di una conferenza nazionale parallela al congresso, dove si affronteranno le questioni interne al partito. Il vero congresso, di cui non si conoscono né luogo né data, sarà questo e segnerà le nostre vite con la stessa cecità del passato.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 873, 19 novembre 2010*

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