Questo è il secondo reportage sui musicisti italiani che vivono o fanno cose in provincia. Leggi qui la prima puntata, con Vinicio Capossela.

Siamo all’Aquila Nera, un albergo ristorante a due passi dalla stazione di Ivrea. È il 5 marzo. Cosmo prende in braccio Carlo, uno dei suoi figli. Gli tocca i capelli, gli fa le boccacce e se lo strapazza. Il bimbo ride. Dopo che lo rimette giù però comincia a urlare: vuole del ketchup per le sue patatine fritte. L’altro figlio, Pietro, lo aspetta dall’altra parte del tavolo. Ha di fronte il piatto con le patatine e seduto di fianco a lui c’è un amichetto. Le scuole sono chiuse a causa dell’emergenza legata al nuovo coronavirus e i bambini devono restare a casa (le restrizioni imposte dal governo per limitare la diffusione del virus sono scattate pochi giorni più tardi, il 9 marzo).

Sono le due del pomeriggio e a tavola ci sono tutti. C’è la moglie di Cosmo, Antonietta, che lavora all’Aquila Nera insieme a suo padre Tony, che fondò l’attività insieme alla moglie nel 1970, quando entrambi arrivarono in Piemonte dalla costiera amalfitana. Presero un treno per andare in Germania e si ritrovarono quasi per caso qui, nella città del carnevale, famosa per la battaglia delle arance. Quest’anno il carnevale è stato interrotto, proprio a causa del coronavirus. Si era fermato solo altre tre volte nella storia: durante le due guerre mondiali e poi nel 1960, quando morì l’imprenditore Adriano Olivetti.

L’appartamento della famiglia di Cosmo, al secolo Marco Jacopo Bianchi, è qui vicino all’Aquila Nera. Gran parte della vita del musicista, quando non è in tour, si svolge in questi pochi chilometri quadrati. La mattina accompagna i figli a scuola e poi si chiude nello studio che ha appena finito di costruire sulla riva del fiume Dora. Lì dentro sta lavorando al suo quarto album, che arriverà dopo il successo di Cosmotronic, il disco che l’ha portato a suonare al MediolanumForum di Assago. Tanti gli dicono che dovrebbe trasferirsi a Milano, che per il suo lavoro sarebbe meglio. Ma lui preferisce restare a Ivrea.

Cosmo al belvedere di fronte a villa Casana, Ivrea, 5 marzo 2020. (Jacopo Farina per Internazionale)

“A Milano ci vado quando ne ho bisogno, ma per il resto gestisco tutto da qua. Si sta bene a Ivrea, c’è meno inquinamento, è un posto a misura d’uomo. Anzi, a volte mi sembra che la vita per i miei figli qui sia anche troppo cittadina. Sarebbe bello se potessero scorrazzare liberi e tranquilli, invece devono stare attenti alle macchine. Per fortuna appena esci dal centro sei nei boschi e vicino ci sono posti meravigliosi, come la Valchiusella. Voglio bene a questa città, qui c’è la mia famiglia, siamo nati qui. Ho sempre voglia di partire ma ho bisogno di tenere un piede a Ivrea”.

Ivrea, che si trova nella regione del Canavese, è una città piccola, circa 23mila abitanti. Il fiume Dora la taglia in due tronconi: da una parte c’è il centro storico, dall’altra la stazione e i quartieri olivettiani, con le architetture industriali che dal luglio 2018 sono diventate patrimonio dell’Unesco. Marco Peroni nel suo libro Ivrea. Guida alla città di Adriano Olivetti riporta una riflessione dell’imprenditore che spiega bene perché il Canavese era la sua dimensione ideale:

Il decentramento può e dev’essere usato come strumento di difesa dell’uomo. Reso facile dalle tecniche moderne più progredite, riconduce l’uomo alla terra, ristabilisce un’economia mista, un nuovo equilibrio tra agricoltura e industria, il solo capace di ridare all’uomo la perduta armonia.

Basta salire poco oltre il centro di Ivrea, seguendo i rilievi della serra Morenica, per vedere dall’alto i cinque laghi di origine glaciale e capire perché Olivetti aveva così a cuore la parte rurale del Canavese. Non a caso nel 1954 creò l’Istituto per il rinnovamento urbano e rurale (Irur), pensato per decentrare le attività manifatturiere e dare spinta all’agricoltura e ai movimenti corporativi, molti dei quali esistono ancora oggi, per esempio in piccoli paesi come Chiaverano.

È lo stesso Cosmo a citare Olivetti quando gli si chiede cosa distingue Ivrea dalle altre città italiane.

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Molte canzoni di Cosmo parlano di Ivrea. Sei la mia città, uscita nel maggio 2017 come un singolo e poi inclusa nell’album Cosmotronic, è una canzone d’amore dedicata a sua moglie e parla del ritorno a casa dopo la fine di un lungo tour, quello del disco L’ultima festa. “Quasi tutti i miei pezzi sono autobiografici, per me non c’è confine tra vita e musica”, spiega il cantante. “Sicuramente Sei la mia città è uno dei più intimi. Comincia con il verso ‘Ti ricordi che nebbia?’ perché a Natale 2016 io e Antonietta eravamo andati con i bambini a vedere un presepe in Valchiusella. E risalendo la valle sopra la nebbia che ci avvolgeva all’improvviso è spuntato il sole. Anche Quando ho incontrato te parla della mia famiglia, è un flusso di coscienza nato durante una notte d’insonnia. Mi piace partire da immagini semplici e quotidiane, e lavoro molto sui testi per renderli il più possibile diretti, è un lavoro lungo e faticoso. È come se uno si sedesse e cominciasse a raccontarti tutto quello che gli passa per la testa. In Le voci, pubblicata nell’Ultima festa, cantavo: ‘Non vado nemmeno più in bici. Ho la gomma a terra da sei mesi’. Ed era vero, è vero ancora oggi. Ho ancora la gomma a terra”.

Cosa muove il mondo
Cosmo non ha filtri: se gli va di fare una cosa la fa, non importa se sembra assurda. Mentre passeggiamo vicino a villa Casana, un edificio del cinquecento dove oggi c’è la sede dell’archivio storico Olivetti, sale sopra un cassonetto della spazzatura e si mette in posa lì per alcune foto. Si sistema la sciarpa e si mette gli occhiali da sole. “Come sto? Sembro un trapper, vero?”, dice al fotografo. Dietro di lui c’è un albero in fiore, mentre di fronte a noi c’è un belvedere che si affaccia sulla parte più nuova di Ivrea. Dalle nuvole ogni tanto spunta un sole timido. Con noi c’è anche Lion, un suo amico che ha una cartoleria in centro. Oggi non lavora e ha il naso bendato: se l’è rotto durante la battaglia delle arance, ha preso una gomitata da un fotografo. Dall’alto si vede l’edificio Ico centrale, una delle architetture olivettiane, con le sue gigantesche vetrate. Quando arriviamo al belvedere, Cosmo guarda il panorama e s’infila in mezzo alla vegetazione. Si arrampica su un albero, dove fa altri scatti, e poi rimane quasi incastrato mentre scende. Sembra divertirsi come un bambino.

Cosmo nel suo studio, Ivrea, 5 marzo 2020. (Jacopo Farina per Internazionale)

Dopo le foto ricominciamo a parlare: “Quando suonavo con la mia band, i Drink To Me, fondati nel 2002, dicevamo di essere di Torino, perché pensavamo che nessuno sapesse niente di Ivrea. Ma poi ho capito che questo posto era il mio punto di forza. In passato tutti volevano trasferirsi nelle grandi città, che venivano viste come comunità più evolute. Ma quello che muove il mondo non sta sempre nei grandi centri. Ho capito questa cosa dopo aver girato il videoclip delle Voci. L’abbiamo fatto a Ivrea insieme a Jacopo Farina (fotografo e regista dei videoclip di Cosmo, autore degli scatti di questo articolo). Lui veniva da Milano e si è innamorato della città, questa cosa mi ha fatto riflettere”.

Ci spostiamo verso il suo studio. Prima passiamo dalla riva della Dora, dove sono rimaste delle arance spiaccicate per terra. Nonostante il divieto del carnevale, qualcuno nei giorni scorsi è venuto fin qui a fare una battaglia. Alcune sono ancora intatte. Cosmo le raccoglie e comincia a lanciarle contro un muro. “È liberatorio, vero?”, dice ridendo.

Lo studio di Cosmo ha il parquet per terra, i muri grigi e un bagno molto colorato. Glielo sta dipingendo Luca, un suo amico artista. Ci mettiamo ad ascoltare un po’ di musica. Lui mette sul piatto un vinile del gruppo ambient di Amsterdam Gaussian Curve. Poi fa partire The great animal orchestra del musicista statunitense Bernie Krause, un disco che raccoglie solo suoni di animali e ambienti naturali. “Ultimamente mi sto appassionando anche a cose lente e psichedeliche. Ma non ho confini, passo tranquillamente dall’ambient alla techno”, commenta.

Animal Collective e Gigi D’Agostino
Cosmo ha fatto la gavetta, sul serio. Fino a pochi anni fa per guadagnarsi da vivere faceva l’insegnante di storia in un istituto parastatale e doveva fare i salti mortali per andare in tour. I Drink To Me mescolavano il rock con l’elettronica e cantavano in inglese. Erano apprezzati dalla stampa musicale, che li paragonava agli Animal Collective e agli Mgmt, ma non hanno mai conquistato un pubblico ampio. Nel 2013 Cosmo ha deciso di tentare la strada solista, scegliendo di cantare in italiano e di fare pop elettronico. Anche il suo primo album, intitolato Disordine, è stato accolto da ottime recensioni, ma non ha avuto il successo che l’artista si aspettava. Stava quasi per mollare.

“È cambiato tutto con L’ultima festa”, spiega. “Ho fatto quel disco senza grandi aspettative, come se fosse l’ultima cosa che registravo. Ho composto gran parte dei pezzi nel 2015, proprio nel periodo in cui ho scoperto il clubbing. Da ragazzo non ero un discotecaro. Da adolescente ascoltavo Gigi D’Agostino e Radio Deejay, ma a 17 anni ho scoperto il punk e ho mandato affanculo tutto il resto. Quando sono diventato adulto le cose sono cambiate. Qualche anno fa sono andato al Club to Club a Torino e ho capito che quella roba faceva per me. Ho scelto di mettere la cassa dritta nei brani dell’Ultima festa, mentre in Disordine avevo usato ritmiche più complesse. Non pensavo che il disco avrebbe fatto successo, ma pian piano le radio hanno cominciato a passare i pezzi e ho visto che il mio pubblico cresceva di concerto in concerto”.

Un pubblico molto vario, spiega il cantante, che si è trovato a parlare con fan insospettabili:

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A cinque anni da quell’album, Cosmo è una delle realtà più interessanti del pop italiano ed è molto ricercato anche come produttore: nel 2018 ha collaborato con Achille Lauro, mentre l’anno scorso ha firmato brani con Marracash e i Subsonica, per i quali ha realizzato una nuova versione di Discolabirinto. “La collaborazione con Marracash è stata una bellissima esperienza. Lui è una bella persona, un puro. Quando qualche mese fa è venuto a Ivrea mi ha fatto ascoltare i primi demo di Persona, il suo ultimo album, e sono rimasto impressionato. Si vede che rispetto alle nuove generazioni lui ha alle spalle una storia diversa, più ricca. Mi ha proposto di fare un pezzo insieme sull’emergenza climatica ed è venuta fuori questa cosa di Greta Thunberg. È stato figo”.

Cosmo dentro l’ex hotel La Serra, una delle architetture olivettiane di Ivrea, 5 marzo 2020. (Jacopo Farina per Internazionale)

Per Cosmo la festa è un rituale sacro. Con Ivreatronic, un collettivo che ha messo su insieme ai suoi amici musicisti di Ivrea, ogni tanto organizza feste e dj set. All’inizio le facevano solo a Ivrea, oggi li portano in giro per l’Italia. “La prima è stata il 4 maggio del 2017, è il nostro compleanno. Adesso vorremmo organizzare un festival di musica elettronica qui a Ivrea. Si dovrebbe tenere a settembre, e nel programma ci saranno artisti italiani e stranieri”, spiega il musicista. E aggiunge: “Andare a ballare in certi locali per me è stato formativo. Ho visto molta più civiltà nei club gay olandesi con gente strafatta di anfetamine che in tanti ristoranti. In certi club ho notato valori che mi fanno quasi pensare a un’utopia collettiva. Sono contro il proibizionismo e a favore della legalizzazione. Oltre a dire ai ragazzi che le droghe fanno male, bisognerebbe spiegargli come funzionano, cosa contengono”. E quando i suoi figli saranno adolescenti cosa farà Cosmo? “Gli spiegherò le cose, senza divieti. Per dire, io ora fumo erba di fronte a loro senza problemi, sono contro l’ipocrisia”.

Visto che siamo in studio, è inevitabile parlare del nuovo disco. Lui dice di aver quasi finito due brani, ma ancora non è pronto a farli ascoltare. “Sarà diverso dall’Ultima festa, ma anche da Cosmotronic. Sarà un lavoro poco radiofonico, più pazzo e vario. Cerco uno stile più distorto, voglio usare molto i sintetizzatori modulari. Ho in mente un suono che si ripete ma che si muove, cambia anche solo impercettibilmente. Non come i campionamenti che si ascoltano nei pezzi trap e pop italiani”. Con il nuovo disco Cosmo vuole allontanarsi dal pop e, per usare le sue parole, “fare la sua cosa”.

Pochi mesi prima di pubblicare Disordine, nel 2012, Cosmo mise online tre cover di brani italiani che gli stavano a cuore. Tra questi c’era Abbracciala abbracciali abbracciati di Lucio Battisti, un pezzo che ancora oggi per lui è un punto di riferimento. E che gli ha indicato una strada, come spiega lui: “Un disco come Anima latina non va in radio. Non ti dà la gloria istantanea, non fa i numeroni e i like. Ma resiste alla prova del tempo. Io voglio fare quella roba lì, ho questa ambizione. Ci vuole coraggio, perché il mercato ti mette pressione e se non posti cose sui social ogni dieci minuti ti dicono che non ti valorizzi abbastanza. Nel mondo del rap non capiscono come ho fatto a fare il forum di Assago con centomila follower, anche se non vivo a Milano e non sono il re dei social”.

E cosa farà in futuro? Ci pensa, e buttando un occhio sul fiume che scorre sotto le finestre dello studio, dice: “Tra trent’anni m’immagino a fare dischi ambient tipo Laraaji. L’ambient è un bel viaggio. Tra l’altro ho un disco ambient pronto, che vorrei far uscire con Ivreatronic. In generale voglio che la mia musica invecchi con me. Penso che non ci sia niente di peggio di un musicista che fa finta di essere sempre giovane. Gli Sleaford Mods per esempio sono fighi: hanno cinquant’anni e fanno punk, ma non fingono di essere dei ragazzini. Sputano sul mondo come due cinquantenni incazzati. Io fra trent’anni non mi ci vedo a saltare sul palco come un pazzo. Da vecchio spero che sarò ancora qui, lontano dal centro, a Ivrea”.

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