Ha lavorato nei Balcani, in Medio Oriente, e in particolare in Israele e Palestina, come specialista di diritti umani. Dal 2012 racconta la guerra in Siria come reporter freelance. I suoi articoli sono stati tradotti in 15 lingue. Il suo libro più recente è La guerra dentro (Bompiani 2014)
Mirco Pucci, autore dei disegni, è un architetto e illustratore toscano, specializzato in acquerelli. Francesca Borri, autrice dei testi, è corrispondente di guerra per... Leggi
“Combattono proprio bene, è vero?”, mi dice il tassista con orgoglio. A Parigi, a Bruxelles, a Tunisi, parli con i musulmani dei jihadisti dello Stato islamico e tutti ti rispondono mortificati: sono fuori di testa. Alle Maldive ti dicono: sono degli eroi. Leggi
La vittoria, a Mosul, è certa, ma siamo stati avvertiti: potrebbe non essere né semplice né rapida. A Manbij, in Siria, l’ultima città persa dal gruppo Stato islamico, la battaglia è durata 71 giorni. E Mosul è nove volte Manbij. Per l’Is ha un valore simbolico, non solo militare. E l’Is ha avuto mesi per prepararsi. Siamo stati avvertiti: resisterà. Anche se il problema vero in questa guerra ai jihadisti, è un altro: è che i jihadisti sono da entrambi i lati del fronte. Leggi
Per la comunità internazionale Assad è un punto fermo. Ma credere che il presidente siriano sia il garante della stabilità del paese non significa solo puntare sul cavallo sbagliato. Significa puntare su un cavallo che non esiste proprio più. Leggi
Per i combattenti jihadisti il califfato è un ideale universale. Ma, in realtà, è un progetto profondamente influenzato dai contesti nazionali. Interviste con quattro miliziani in Siria, Tunisia, Iraq e Bosnia. Leggi
Perché il movimento pacifista non scende piazza per la Siria? Cos’è cambiato dai tempi della mobilitazione internazionale contro la guerra in Iraq? Il problema è che in Siria i pacifisti stanno con Assad, l’uomo che ha usato ogni arma possibile contro i siriani, dai gas alla morte per fame, l’uomo che ha inventato i barili esplosivi, che per anni ha bombardato tutti tranne i jihadisti dello Stato islamico. Ma che è da molti considerato il male minore. Leggi
A quali condizioni i siriani sono disposti a rientrare in Siria? Da Gaziantep, in Turchia, lo spiegano un siriano e una siriana scappati a causa della guerra. Nashwan al Saleh ha 39 anni, è un giornalista. Tornerebbe in una Siria governata da Assad, non dagli islamisti. Lubna al Kanawati ha 36 anni, dirige Women Now. Viene da Ghouta. Tornerebbe in una Siria governata dagli islamisti, non da Assad. Leggi
Stiamo qui a scavare nelle adolescenze difficili, nell’alienazione degli immigrati, nel degrado di Molenbeek: di tutto parliamo tranne che delle motivazioni dei jihadisti, nella convinzione che discuterle significhi legittimarle – e quindi parliamo di Bruxelles, solo di Bruxelles, tutti concentrati a capire perché è così vulnerabile. Le forze di sicurezza inadeguate, l’amministrazione divisa in 19 distretti. I valloni e i fiamminghi. Ma il vero fallimento non è dell’intelligence, ma della politica. Il vero fallimento non è in Belgio, ma in Siria. Leggi
Ufficialmente l’obiettivo del cessate il fuoco entrato in vigore in Siria il 27 febbraio è la distribuzione di aiuti umanitari nelle aree sotto assedio. Sei di queste, più Deir Ezzor, l’area petrolifera controllata dal gruppo Stato islamico (Isis), sono ancora inaccessibili: sono proprio quelle circondate dell’esercito di Bashar al Assad. Leggi
A due anni dagli ultimi negoziati, a Ginevra in questi giorni si torna a discutere di Siria. Per la prima volta, sono al tavolo tutti i principali protagonisti del conflitto, incluso l’Iran. Mancano solo l’Ahrar al Sham e il Fronte al nusra: mancano solo i combattenti. Ma non è solo per questo, in realtà, che a questi negoziati non crede nessuno. Leggi
Mentre l’attenzione del mondo è rivolta alla Siria, all’Iraq e alla Libia, Israele continua a costruire insediamenti. Di là dal muro, intanto, i palestinesi sono impegnati in questa specie di intifada che continua a registrare vittime. Mai come in questi mesi, questo sembra un conflitto senza soluzione. Mentre il mondo intorno cambia, mai come ora qui tutto sembra uguale a sempre. Leggi
È qui che non si è più umani, in questa città divisa in area H1 e H2, la prima sotto controllo palestinese, la seconda sotto controllo israeliano: una città in cui ci si dà appuntamento accanto a un numero, il checkpoint 55, il checkpoint 56, e in cui in realtà, ormai, si è un numero, perché entra solo chi è registrato. Leggi
L’Italia è già parte della coalizione contro lo Stato islamico, ma al momento il suo ruolo è essenzialmente fornire armi e addestrare forze locali. Adesso invece i Tornado italiani potrebbero passare da missioni di ricognizione a missioni di attacco anche se, dopo un anno, è ormai chiaro che i bombardamenti sono inutili. Leggi
Ogni tanto al porto del Pireo, all’alba, attracca un traghetto proveniente dalle isole. Gli iracheni, i siriani e gli afghani si dirigono rapidi verso la metropolitana, verso il centro, per proseguire subito per la Macedonia e poi più a nord, per la Germania e la Svezia. Prima che l’Europa cambi idea e chiuda le frontiere. Dopo un paio d’ore, nelle strade intorno, per terra, al sole, ancora addormentati su dei cartoni, non rimangono che loro: i greci. Leggi
Lungo la linea precaria della tregua firmata a Minsk, che a febbraio ha più o meno congelato il conflitto in Ucraina orientale, come al solito sono rimasti solo quelli troppo poveri per andare via. Reportage dal fronte di una guerra che continua nel silenzio. Leggi
Inutile dirgli che non sono musulmana. Non sono neppure palestinese. E che comunque ho avuto l’ennesima ricaduta di tifo, ho la febbre, e quindi il Corano mi autorizza a rompere il Ramadan. Ed è inutile, in realtà, dirgli qualsiasi cosa, perché il poliziotto di Hamas che mi ferma per tre ore – sono colpevole di avere con me una bottiglia d’acqua – non ha divisa né distintivo: so che è di Hamas solo perché sono a Gaza. Leggi
Al Sisi è uno statista, is a great leader, ha detto Matteo Renzi ad Al Jazeera a proposito del generale egiziano arrivato al potere il 3 luglio del 2013 con un colpo di stato che ha rovesciato il presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi, e lasciato sull’asfalto quasi mille morti. Da allora, Abdel Fattah al Sisi è protagonista non solo delle strade del Cairo, tappezzate di sue gigantografie, ma anche dei rapporti di Amnesty international. Leggi
In genere semplifichiamo l’Iraq, e i suoi 35 milioni di abitanti, dicendo che il sud è sciita, il centro è sunnita e il nord è curdo. In questa attenzione quasi ossessiva per le etnie, la religione, le appartenenze, c’è una minoranza di cui non si parla mai: quella degli iracheni in cui ci si imbatte ogni giorno. Iracheni di tutte le età, di tutte le professioni, di tutte le aree del paese. Che, mentre sunniti e sciiti si combattono per le strade, aspettano barricati in casa che tutto questo finisca. Leggi
Gli ordigni esplosivi artigianali sono il simbolo dell’Iraq di oggi: non sono più furgoncini che si schiantano contro la Zona Verde, contro gli stranieri, l’obiettivo non è più scacciare gli statunitensi, riappropriarsi del paese. Ora l’obiettivo, semplicemente, è destabilizzarlo. Leggi
Siamo qui da quattro anni, ormai. E l’unica differenza è che ora, invece che di Siria, ci occupiamo di Siria e di Iraq. In realtà il gruppo Stato islamico (Isis), per noi, non è stato una novità ma un’evoluzione. Rientravamo ad Aleppo, ogni volta, e i vecchi cattivi ragazzi erano adesso bravi ragazzi, perché dall’estero, intanto, era arrivato qualcuno di ancora più estremista. Leggi
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