Giovedì sera Washington ha annunciato che Israele ha accettato di fare delle “pause” giornaliere di tre o quattro ore nel nord della Striscia di Gaza, ma il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha anche affermato che non c’è “alcuna possibilità” di un cessate il fuoco.
In un appello congiunto senza precedenti, una decina di ong chiede alla comunità internazionale di cercare di ottenere un cessate il fuoco completo, l’unico modo per rispondere a una situazione umanitaria “catastrofica”.
“Siamo presenti nella regione dal 1949 e i nostri operatori ci dicono che questa è la situazione più grave e più tragica che abbiano mai dovuto affrontare”, ha detto Cécile Duflot, direttrice di Oxfam Francia, giovedì durante una conferenza stampa congiunta a Parigi dopo la conferenza umanitaria su Gaza organizzata dal presidente francese Emmanuel Macron.
L’idea di “pausa umanitaria”, di cui la comunità internazionale parla da diversi giorni, viene accolta con scetticismo dalle principali ong.
“Non sappiamo cosa significhi concretamente una pausa umanitaria”, ha detto Isabelle Dufourny, presidente di Medici senza frontiere (Msf), ancora prima dell’annuncio della Casa Bianca.
In assenza di aree sicure sul campo di battaglia, “è impossibile lavorare. Il personale degli ospedali si trova ad affrontare afflussi enormi di feriti, lavora in condizioni igieniche terribili, non può riposare ed è costantemente sotto stress. È impossibile svolgere qualunque tipo di intervento medico in queste condizioni”, ha detto Dufourny durante l’incontro con la stampa.
Dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, scatenata dall’attacco senza precedenti del movimento islamista contro Israele il 7 ottobre, le organizzazioni internazionali hanno pagato un prezzo altissimo a Gaza.
L’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i palestinesi, ha avuto un centinaio di vittime tra il suo personale, soprattutto insegnanti, infermieri e medici. “Le Nazioni Unite non hanno mai registrato un numero così elevato di morti in un conflitto così breve”, ha dichiarato giovedì mattina il suo direttore, Philippe Lazzarini.
Oltre all’impossibilità di lavorare sotto le bombe, gli operatori umanitari raccontano anche la frustrazione di non poter trasportare e distribuire gli aiuti in questo territorio di 2,4 milioni di abitanti, il più densamente popolato al mondo, e dove centinaia di migliaia di persone sono state sfollate verso sud dall’inizio degli attacchi israeliani.