Il presidente cileno Gabriel Boric, 37 anni, il 24 novembre 2023. (Justin Sullivan, Getty Images)

I cileni sono chiamati alle urne il 17 dicembre per decidere se approvare una nuova costituzione, d’ispirazione conservatrice, in sostituzione del testo in vigore dal tempo della dittatura del generale Augusto Pinochet (1973-1990).

Il presidente cileno di sinistra Gabriel Boric ha dichiarato a novembre che questo referendum sarà stato l’ultimo tentativo di riscrivere la costituzione. Nel settembre del 2022, una prima proposta elaborata da un’assemblea costituente prevalentemente di sinistra e sostenuta dallo stesso Boric, è stata bocciata alle urne. Avrebbe dovuto introdurre nuovi diritti sociali in materia di istruzione, salute o alloggio, riconoscere i diritti dei popoli nativi e il diritto all’aborto.

I sondaggi, vietati da due settimane, prevedono un’ampia maggioranza di no al nuovo testo, anche se il numero di indecisi è alto. La revisione della costituzione dell’epoca di Pinochet, considerata un freno a qualsiasi riforma sociale fondamentale pur essendo stata emendata varie volte, è stata intrapresa per andare incontro alle richieste del movimento sociale scoppiato nel 2019 contro le disuguaglianze.

Ma il testo che sarà sottoposto agli elettori il 17 dicembre è stato scritto proprio da coloro che difendono l’eredità di Pinochet, dopo la vittoria della destra ultraconservatrice nello scrutinio di maggio per eleggere i membri del Consiglio costituzionale incaricato di scrivere la nuova costituzione.

Di conseguenza, il testo mantiene un carattere conservatore e “si colloca tra la costituzione del 1980 e una ancora più a destra”, spiega all’Afp Claudia Heiss, politologa dell’università del Cile.

La nuova carta, però, prevede alcune novità sull’aborto, sull’istruzione, sulla sicurezza pubblica, sul sistema politico e sull’imposta sulla proprietà, la proposta più criticata perché favorirebbe i più ricchi.

Anche la questione dell’aborto è controversa, “pericolosa addirittura”, afferma Catalina Lufin, 22 anni, presidente della Federazione degli studenti dell’università del Cile, perché “ci fa fare passi indietro in materia di diritti fondamentali”.

L’aborto era completamente vietato in Cile fino al 2017, quando una legge lo ha autorizzato, ma solo nei casi di rischio per la vita della donna, di stupro o di feto dichiarato morto. L’attuale costituzione “tutela la vita di chi nascerà”, ma il nuovo testo proposto dalla destra ultraconservatrice va oltre, dichiarando l’embrione una persona e rendendo così più difficile praticare un aborto.

“Noi giovani repubblicani c’impegniamo a essere una generazione pro vita” e “a fare in modo che non ci sarà alcuna legge sull’aborto”, afferma il presidente del Movimento giovanile del Partito repubblicano (estrema destra), Cristóbal García, 27 anni.

Senza finanziamenti, il desiderio di “un’istruzione pubblica gratuita e di qualità” scompare, teme Catalina Lufin. Al contrario, García pensa che “il testo rafforza ciò che funziona bene oggi, come la possibilità di scegliere diversi progetti educativi e l’autonomia che possono avere gli istituti di istruzione superiore”.

Il nuovo testo riconosce per la prima volta i popoli nativi, un’aspirazione di lunga data soprattutto dei mapuche, che rappresentano circa il 12 per cento della popolazione, ma non risponde alla loro richiesta di maggiore autonomia.

Sulle pensioni, il testo sostiene l’esistenza di due regimi, uno pubblico e l’altro privato, così come per la sanità.

Sul piano politico riduce il numero dei parlamentari (138 contro 155) e impone un minimo del 5 per cento di voti (ovvero otto deputati) per la creazione di un partito in modo da ridurre la divisione delle forze nel parlamento.

“È una costituzione adattata ai nostri tempi, che chiude un capitolo di mobilitazioni sociali”, assicura Fernanda Ulloa, studente di scienze politiche di 24 anni e presidente del Movimento giovanile del partito Evópoli (centrodestra).

Ma Andrés Calfuqueo, studente di scienze politiche di origine mapuche, assicura che non la “rappresenta”: “È nata da un processo che prometteva di unire i cileni, ma ha finito per dividerli”.