Un contingente di 250 guardie di sicurezza nepalesi arriverà in Libia in questi giorni per garantire sicurezza alla base militare dell’Onu di Tripoli. Se tutto andrà come previsto, spiega Roberto Mignone, capomissione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’inizio di novembre anche il personale internazionale dell’organizzazione, che dal 2014 si è spostato a Tunisi per ragioni di sicurezza, potrebbe tornare in Libia in pianta stabile.
La notizia dell’invio delle guardie di sicurezza dell’Onu, che qualche giorno fa era stata data da Ghassan Salamé, l’inviato speciale dell’Onu in Libia, è confermata da Mignone, che è in Italia insieme ad alcuni funzionari del governo di unità nazionale libico guidato da Fayez al Serraj. “La situazione in Libia è molto complicata dal punto di vista della sicurezza anche per il personale dell’Onu”, spiega Mignone a Internazionale. “Il 25 settembre a Tripoli ci sono stati combattimenti e ho dovuto comunicare al nostro personale che sarebbe stato meglio lavorare da casa. Qualche mese fa un nostro convoglio è stato attaccato a trenta chilometri da Tripoli. Per fortuna i colleghi stanno bene, ma la situazione è davvero difficile”.
L’Unhcr ha un ufficio a Tripoli con quaranta dipendenti, tutti libici, e un altro ufficio a Bengasi, dove il personale lavora da casa. I funzionari internazionali invece sono a Tunisi e possono andare in Libia solo per brevi periodi e a rotazione. “Fino al mese scorso potevano entrare in Libia solo tre persone alla volta di tutto il sistema delle Nazioni Unite, compresi l’Unicef e l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Per l’inizio di novembre speriamo di riuscire a entrare con un centinaio di funzionari”, afferma Mignone.
Sovraffollamento, abusi, violenze sessuali: nei centri di detenzione dei migranti in Libia la situazione rimane terribile
Le Nazioni Unite hanno lasciato la Libia nel 2014, quando si sono intensificati i combattimenti tra le milizie e per ragioni di sicurezza la maggior parte del personale diplomatico internazionale ha abbandonato il paese. Ma negli ultimi mesi l’Onu sta facendo molta pressione per tornare.
“Sovraffollamento, violazioni dei diritti umani, abusi, violenze sessuali: nei centri di detenzione dei migranti in Libia la situazione rimane terribile”, sostiene Mignone. L’Unhcr sta monitorando 27 dei 29 centri di detenzione ufficiali gestiti dal dipartimento di contrasto dell’immigrazione irregolare del governo di Al Serraj, ma assicura che nel paese ci sono decine di centri che sono sotto il controllo diretto delle milizie e dei trafficanti di esseri umani.
Secondo alcune stime, le persone detenute nei centri sono seimila, di cui 5.500 nell’ovest e nel sud del paese e 500 nella parte est. In tutto, secondo l’Unhcr, ci sono 42.834 rifugiati registrati nel paese, per lo più arrivati in Libia molti anni fa, mentre circa settemila fanno parte dell’ultima ondata di profughi. “Ogni giorno apre un centro e ne chiude un altro: è molto difficile sapere quanti centri attivi ci siano nel paese”, afferma Mignone. L’Unhcr insieme all’ong International medical corps ha compiuto 658 visite all’interno dei 27 centri in cui ha l’autorizzazione a entrare, conferma il capomissione dell’Unhcr.
E spiega che l’agenzia delle Nazioni Unite ha chiesto al governo di unità nazionale di Tripoli di liberare nell’ultimo anno duemila persone rinchiuse nei centri di detenzione visitati, perché ritenute in possesso dei requisiti per chiedere protezione internazionale. “Con questo metodo siamo riusciti a ottenere la liberazione di mille persone”, racconta. “Quando le liberiamo, le registriamo in due centri che abbiamo a Tripoli e gli facciamo fare richiesta di protezione internazionale, inoltre gli forniamo assistenza materiale e cure mediche”. Un centro simile dovrebbe essere aperto a Bengasi, e altri tre sulla costa occidentale del paese, dove si concentra il traffico di esseri umani. “La guardia costiera libica riporta indietro i migranti intercettati in mare in dodici punti e insieme all’Oim abbiamo deciso di monitorare la situazione in questi luoghi sulla costa”, continua Mignone.
La proposta dell’Unhcr
L’Unhcr sta negoziando con il governo di Tripoli la possibilità di aprire un campo profughi nella capitale libica, che possa ospitare almeno mille persone in transito. La Libia non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e questo è l’ostacolo principale al progetto, oltre alla difficoltà di garantire la sicurezza degli operatori e degli stessi profughi.
“Vorremmo portare nel centro tutte le persone più vulnerabili: donne, bambini, famiglie, persone malate, persone con disabilità. Da questo centro”, dice Mignone, “proveremo a ricollocarli in paesi terzi: potremmo mandarli nei centri di transito dell’Unhcr (nel Sahel, in Romania, in Slovacchia, in Costa Rica) e poi da lì proveremo a reinsediarli in paesi come la Svezia o il Canada”. Il reinsediamento diretto in paesi terzi non è possibile dalla Libia, perché l’unica ambasciata aperta nel paese è quella italiana, quindi per ora non c’è modo di valutare sul posto le richieste d’asilo.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite Filippo Grandi ha chiesto ai paesi dell’Unione europea 40mila posti per il reinsediamento dei rifugiati dell’area del Mediterraneo. “Dalla Libia potrebbero essere reinsediate cinquemila persone”, secondo Mignone, che dice di avere i nomi di queste persone già pronti. Ma per il momento non c’è ancora il pieno accordo con il governo di Al Serraj, soprattutto su un punto: la detenzione dei migranti. L’Unhcr chiede che il campo sia aperto e che i migranti, dotati di una tessera di riconoscimento fornita dall’Unhcr, possano entrare e uscire liberamente. Ma il governo di Tripoli non sembra disposto a concedere questa libertà.
E l’Europa?
“I punti più critici di questa proposta sono: da una parte le milizie – che guadagnano sulla detenzione dei migranti – e dall’altra parte proprio i governi europei che non sembrano essere molto disponibili ad aprire le porte ai profughi in arrivo dalla Libia”, spiega Mattia Toaldo, analista dell’European council on foreign relations di Londra.
Le trattative tra l’Unhcr e il governo di Tripoli sembrano a buon punto, ma la grande incognita è quanto questo modello possa essere replicato su larga scala, perché i centri di detenzione sono una fonte di guadagno importante per le decine di gruppi armati del paese. “La difficoltà maggiore però paradossalmente è la posizione europea, perché tutti i governi del vecchio continente stanno ragionando sulla proposta del presidente francese Emmanuel Macron di aprire degli hotspot, dei centri di detenzione per l’identificazione e la valutazione delle domande d’ingresso in Europa”, spiega Toaldo.
L’anno prossimo la presidenza del semestre europeo sarà austriaca e, secondo Toaldo, Vienna sta ragionando sulla proposta francese, e cioè sull’apertura di zone protette (safe-zones) in cui trattenere i migranti. Inoltre nessun governo europeo, a parte quello tedesco, ha risposto alla proposta di Filippo Grandi di accogliere 40mila profughi. “Non mi risulta, per esempio, che l’Italia abbia detto nulla in proposito”, sottolinea Toaldo. “Sarebbe una buona domanda da fare al governo italiano: nel memorandum d’intesa firmato con il governo di unità nazionale di Fayez al Serraj avete chiesto che i centri di detenzione siano chiusi e che siano sostituiti da centri di accoglienza?”.
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