“Non ci sono dubbi” sul fatto che il presidente statunitense Donald Trump sia “un razzista”, ha dichiarato all’inizio del 2019 la parlamentare di sinistra Alexandria Ocasio-Cortez durante un’intervista televisiva. Com’era prevedibile la sua critica lapidaria ha scatenato un’ondata di reazioni, soprattutto a destra. Ma ha suscitato indignazione anche la replica del suo intervistatore, Anderson Cooper, che ha commentato: “Come può dire una cosa del genere?”. Nel contesto dell’intervista, non si capiva se Cooper volesse rimproverarla per la schiettezza o se volesse degli esempi specifici del razzismo di Trump. In ogni caso l’incidente ha rinfocolato un dibattito che dovrebbe essere chiuso da tempo. La risposta di Cooper infatti sembrava contenere un velato tentativo di censura.

Sono già passati due anni dall’inizio della presidenza di Donald Trump e bisogna riconoscere che molti giornalisti non sanno ancora come parlare di lui. Ma se non troviamo le parole giuste per descrivere le minacce poste da quest’amministrazione, non saremo neanche in grado di spiegare bene quali sono gli obiettivi di chi gli si oppone. I quotidiani più importanti parlano apertamente del razzismo del presidente solo nelle pagine delle opinioni e dei commenti, mentre nelle notizie fanno riferimento al massimo a politiche e a una retorica “venata di razzismo”. Ma la crudeltà di Trump è reale. Il presidente non si limita a chiamare i migranti “animali”, la sua amministrazione rinchiude i figli dei migranti nelle gabbie.

Trump non ha una brillante mente strategica. Spesso le sue sparate non sono altro che dei colpi di testa, dietro non ci sono intenzioni ben calcolate. Usa il linguaggio proprio come usa il potere: sempre e solo per favorire e arricchire i bianchi ricchi, a scapito delle comunità più vulnerabili.

(Traduzione di Francesca Sibani)

Sarah Jones è una giornalista statunitense. Il 6 ottobre parteciperà a un incontro sull’informazione negli Stati Uniti con Jason Horowitz, del New York Times, e Caitlin Hu, della Cnn. Questo articolo è uscito su New York Magazine.

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