Il lavoro di Nan Goldin è strettamente legato alla sua vita personale, come se fosse un diario, ha scritto il New York Times. Le sue immagini hanno raccontato momenti privati di amici e persone che frequentava attraverso uno stile intimo e diretto, seguendoli nei bar, nelle camere da letto, nelle strade. Tra loro prostitute, travestiti, drogati, persone emarginate dalla società, ma tutte con un rapporto personale con la fotografa.
Goldin non ha mai frequentato una vera scuola di fotografia; il suo sguardo è sbocciato quando frequentava il liceo nel Massachusetts e ha cominciato a fotografare se stessa e le persone che conosceva. “Non ho avuto un’educazione formale, ma la scuola mi ha insegnato a stare in relazione con le persone”, racconta l’artista. E a quindici anni ebbe la sua prima mostra, a Boston, con un lavoro dedicato alle drag queens che frequentava in quel periodo.
La galleria Guido Costa Projects di Torino ospita, fino al 24 ottobre 2015, una mostra che parte da queste prime immagini, scattate all’inizio degli anni settanta, fino a quelle che l’autrice ha realizzato nell’arco di trent’anni, tra cui molte inedite.
Per la scelta dei soggetti, Goldin fu paragonata a Diane Arbus, ma a questa considerazione l’artista risponde che a differenza di Arbus, che ha ritratto le drag queen come uomini, lei ha sempre cercato di rispettarle: “Non sono uomini e nemmeno donne, sono un’altra specie”, afferma.
Il suo sguardo dall’interno ha dato vita a un nuovo genere fotografico, ha scritto la giornalista statunitense Lynne Tillman: “Le sue immagini sono lo specchio di se stessa e del mondo in cui ha vissuto”.
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