Il libro Diamond Dogs, Officina post industriale, 1984-1987 Napoli (Yard Press) indaga l’immaginario sommerso dell’underground italiano parlando di Napoli e, in particolare, di un luogo unico e simbolico: il Diamond Dogs.
Per la prima volta, il volume raccoglie le foto scattate da Toty Ruggeri che ha seguito il locale nell’arco della sua attività, dal 1984 al 1987. Quando aprì il Diamond Dogs, l’Italia sembrava a un punto di svolta verso l’edonismo dopo l’impegno civile e politico degli anni settanta, che aveva lasciato dietro di sé una scia di morte e tensione.
Senza dubbio, il Diamond Dogs faceva riferimento a esperienze e fenomeni culturali nate in Nordeuropa: le punk house di Londra e Berlino, la musica dei Clash, dei Dissidenten e di David Bowie. Ma la storia del locale napoletano non può essere ridotta, come scrive il giornalista Paolo Pontoniere in appendice alle foto di Ruggeri, “a un curioso mix di tendenze culturali importate, o peggio ancora, a mera espressione di malessere sociale scaturito dalla frammentazione e dall’emarginazione culturale”.
Il Diamond Dogs non è stato una delle tante esperienze dell’universo punk in cui convergevano le sottoculture giovanili negli anni ottanta. Era un punto di ritrovo, uno spazio che ha accolto le esigenze di una generazione, valorizzandole e prendendosene cura, ospitando concerti dal vivo, performance e spettacoli di teatro sperimentale, diventando cosi il punto di riferimento dell’underground napoletano e della nuova avanguardia artistica della città dopo il terremoto del 1980.
“A quattro anni dagli eventi sismici le impalcature metalliche che dovevano inizialmente puntellare migliaia di edifici della città, come braccia che sostengono chi sia stato colpito da un lutto, piuttosto che impedirne la caduta rovinosa, diventarono una camicia di forza”, scrive Pontoniere. “Il loro rigido abbraccio non stava solo soffocando la vista, ma anche castrando l’entusiasmo e l’inventiva per i quali la popolazione della città è famosa in tutto il mondo”.
Da questo punto di vista, il Diamond Dogs, situato nella zona del Cavone, rappresentò una piccola rivoluzione sociale di giovani che furono in grado di rendere Napoli una città di innovazione e sperimentazione, nonostante i mezzi d’informazione già la usassero come l’emblema di tutto ciò che non funziona in Italia.
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