Pietro Marubi nacque a Piacenza nel 1834. Dopo essere fuggito dall’Italia per motivi politici, a 22 anni arrivò a Scutari, in Albania, dove fondò il primo studio fotografico del paese. Lo chiamò Dritëshkronja (scrittore della luce) e lo aprì davanti a casa sua.

I clienti di Marubi non erano solo i viaggiatori occidentali che volevano avere una foto ricordo del loro viaggio in una terra esotica, ma soprattutto gli albanesi, di tutte le età e ogni classe sociale. Oltre ai ritratti di studio, Marubi lavorò per alcune riviste, tra cui The Illustrated London News e La Guerra d’Oriente, viaggiando anche fuori dell’Albania, soprattutto in Montenegro.

Alla sua morte, nel 1903, lasciò un archivio di oltre quattromila negativi. L’attività del suo studio e il suo cognome furono ereditati dal figlio adottivo Kel Khodeli, che proseguì il lavoro del padre per cinquantacinque anni, fotografando leader politici, scrittori e artisti locali e documentando i cambiamenti sociali e culturali del paese. L’ultimo a portare avanti l’attività fotografica di famiglia è stato Gegë Marubi, figlio di Kel, che aveva studiato cinema e fotografia alla scuola dei fratelli Lumière di Parigi.

Nel corso di quasi un secolo, le tre generazioni di fotografi Marubi hanno raccontato la storia dell’Albania. Il loro archivio, conservato nel museo nazionale di fotografia Marubi, a Scutari, è al centro della mostra L’archivio Marubi. Il rituale fotografico, curata da Zef Paci e ospitata alla Triennale di Milano dal 16 novembre al 9 dicembre 2018. Per la mostra, Zef Paci ha selezionato quasi 170 fotografie.

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