I l 2 dicembre 2021 la multinazionale olandese Shell ha dato il via alla ricerca di giacimenti di gas e petrolio in un’area di seimila chilometri quadrati al largo della Wild coast (Costa selvaggia) nella provincia sudafricana dell’Eastern Cape. In questa parte del paese, apprezzata per le sue bellezze naturali e per la varietà della fauna marina (balene e delfini, ma anche pesci rari come il carango gigante), è nata rapidamente una vasta mobilitazione di comunità locali e organizzazioni ambientaliste che denunciano i rischi delle ricerche di giacimenti per l’ambiente naturale e per le popolazioni che vivono delle risorse del mare.
L’economia di molti villaggi della Wild coast si basa infatti sulla pesca non industriale e sulla distribuzione locale dei prodotti di quest’attività. Le indagini, che sulla carta andranno avanti fino ad aprile del 2022, consistono nell’analisi delle onde sismiche create da esplosioni sottomarine.
Il 5 dicembre si sono svolte decine di proteste lungo tutta la Wild coast e sono state lanciate petizioni e azioni legali per fermare le ricerche di gas e petrolio. “Il messaggio dei manifestanti è chiaro”, scrive il giornalista Niren Tolsi in un articolo sul settimanale sudafricano Mail & Guardian. “La Shell ‘deve andare al diavolo’. Mentre i sudafricani sono divisi praticamente su tutto, in questa nuova protesta – che è destinata a crescere nel 2022, con nuove battaglie legali e politiche tra la multinazionale e gli attivisti – hanno dato prova di una rara unità. Molti si chiedono perché il governo abbia permesso alla Shell di condurre queste esplorazioni quand’è evidente che dovremmo trovare delle fonti di energia alternative ai combustibili fossili, una scelta fondamentale per salvare il pianeta. E così torna alla mente la solita domanda che i sudafricani si fanno davanti a ogni progetto promosso dal governo: chi, tra tutti quelli che hanno agganci politici, ci guadagnerà?”.
Intanto gli ambientalisti hanno ottenuto una prima vittoria: il 28 dicembre 2021 un tribunale ha ordinato alla multinazionale di interrompere le ricerche perché non aveva informato con chiarezza le comunità indigene delle conseguenze ambientali delle esplorazioni, violando i loro diritti costituzionali.
La Shell può presentare ricorso contro la sentenza o comunque chiedere le autorizzazioni indicate dal giudice. Intanto, all’inizio di gennaio la multinazionale ha dovuto annullare il contratto con la Shearwater GeoServices, proprietaria dell’imbarcazione Amazon Warrior, a cui aveva affidato le ricerche. ◆
Luca Sola è un fotografo documentarista.I suoi reportage riguardano temi sociali, umanitari e geopolitici. Attualmente vivea Johannesburg.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1444 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati