Se Vladimir Vasilev non fosse bulgaro, probabilmente non avremmo mai pubblicato le sue fotografie. Le avremmo giudicate eccessive, inopportune, grottesche, perfino razziste, comunque inaccettabili. Invece sono capaci di rivelare le contraddizioni di un paese in bilico tra due mondi, che hanno segnato la sua storia e quella del fotografo. Vladimir Vasilev è nato il 4 settembre 1977 a Stara Zagora, in Bulgaria, a poco più di duecento chilometri dalla capitale Sofia. A quindici anni si è appassionato alla fotografia, ma poi ha cominciato gli studi per diventare ingegnere civile. A ventitré anni ha attraversato la Serbia, la Slovenia e l’Italia in autobus. Nel 2001 è arrivato a Montpellier, in Francia, e con un permesso di soggiorno da studente si è iscritto all’università per studiare francese.
Dopo un anno ha provato a ottenere i documenti per poter lavorare e continuare gli studi, ed è stato allora che sono cominciati i problemi. La sua richiesta per un permesso di lavoro è stata respinta e ha ricevuto un decreto di espulsione che lo obbligava a lasciare il paese entro tre mesi, altrimenti sarebbe diventato un immigrato irregolare. Per cercare di ritardare la procedura ha fatto appello al tribunale, svolgendo nel frattempo vari lavori temporanei.
Per quattro anni ha vissuto una situazione di precarietà. Poi nel 2007, quando la Bulgaria è entrata nell’Unione europea, la sua vita è cambiata.
È in quel momento che ha cominciato la serie T(h)races, un racconto del suo paese, ancora in corso, che quest’anno è riuscito a esporre per la prima volta in Bulgaria. Ora vive in Francia, ma solo a febbraio del 2009 ha ottenuto un permesso di lavoro definitivo come fotografo. L’entrata della Bulgaria nell’Unione europea è la realizzazione di un vecchio sogno che avrebbe dovuto chiudere in modo definitivo un capitolo doloroso della storia recente del paese, ma “quarantacinque anni di comunismo hanno avuto un’influenza profonda”, dice Vasilev. “Il passato è sempre lì e sembra impedire qualunque miglioramento; bisogna costruire il futuro barcamenandosi con le numerose incertezze e assurdità che questo passato porta con sé. Oggi il tempo sembra essersi fermato. La nostalgia del passato si fa strada nel vuoto lasciato da un’epoca che è finita, i desideri hanno qualcosa di surreale. Di conseguenza la povertà e la speranza di un futuro migliore si mescolano negli elementi del paesaggio e nella vita quotidiana. Come in una finzione, la realtà rimane ingannevole. Dov’è la frontiera tra reale e immaginario?”.
Un racconto non solo personale
È proprio guardando le foto di Vasilev che ci si chiede dove si trova questa frontiera. Le sue immagini, dai colori saturi e spesso stridenti, hanno una composizione rigorosa, si soffermano su situazioni illuminate dalla luce del flash. L’impressione di finzione e incredulità finisce col prevalere. Commedie bizzarre, stravaganti, basate su un senso dell’assurdo che si trasforma in surrealismo. E poi storie drammatiche, alimentate da un sentimento di violenza, in alcuni casi reso esplicito dalla presenza di armi, con cui i personaggi sembrano giocare o recitare in film polizieschi dalle trame senza un vero finale.
La spiegazione del fotografo è chiara: “Divisa tra un occidente incarnato dall’Europa e dagli Stati Uniti, che inondano il paese con le immagini della tv e della pubblicità, e le ferite di quarantacinque anni di dittatura comunista, la Bulgaria è a un bivio. Questo progetto è personale, i soggetti delle immagini sono i miei familiari, i miei vicini, amici dei miei amici, ma anche sconosciuti. Racconto il paese sia come cittadino bulgaro sia come cittadino europeo. Questa doppia cultura è la sfida della nuova Bulgaria, che cerca di farsi strada per uscire da un passato pesante, avvicinandosi a un’Europa occidentale e al tempo stesso cercando di preservare la sua identità. Ci possiamo chiedere se le tracce del passato lascino i bulgari in un vicolo cieco”.
E in effetti cos’hanno in comune i monumenti cadenti e arrugginiti del periodo comunista, le vecchie uniformi o le scene di parate di altri tempi con un enorme personaggio tatuato che guarda la pubblicità di un sex shop? Forse la frase provocatoria “Never forget your past”, non dimenticare il tuo passato, dipinta su un muro, che in un’altra immagine è accompagnata dalla parola Communism, scritta con lo stesso carattere del logo della Coca-Cola. Anche se in queste foto c’è una violenza sorda, è il sentimento dell’assurdo a prevalere.
Fotografare il caos
Vasilev riflette su come dalla caduta del comunismo si sia imposta un’altra estetica del corpo, con i ragazzi palestrati e le ragazze ridisegnate dal botox. Tutto questo lo fa arrabbiare e alcune sue fotografie sono il frutto di questa rabbia, della sua incomprensione, del rifiuto di questa realtà. Ma in molte immagini c’è anche tenerezza, come nel ritratto di un’anziana nella sua casa, seduta su un divano color senape davanti a una carta da parati con grandi fiori di campo, una sorta di scenografia festosa.
O ancora il signore a petto nudo che suona il flauto nel suo minuscolo appartamento tra un modesto divano, una stufa vecchia di decenni e l’attaccapanni.
Sentimenti condivisi, situazioni per lo più incomprensibili, senso del ridicolo, significati diversi, anche enigmatici. La Bulgaria di Vasilev è un saggio visivo per lui necessario, addirittura indispensabile, nella sua condizione di esiliato che non ha tagliato i ponti con le sue origini.
“Da più di quindici anni fotografo a colori le mutazioni rapide e brutali di un paese che faccio fatica a riconoscere. In ognuno dei miei viaggi ritrovo il caos tipico della Bulgaria, incessante e incomprensibile. Questi cambiamenti testimoniano il passato sovietico , ma anche l’entrata nell’Unione europea”. Sono tracce che mostrano un fotografo teso in una relazione di amore e odio con il suo paese, capace di cogliere in ogni suo ritorno in Bulgaria qualche briciola di una transizione ancora in corso. ◆ adr
◆ La serie T(h)races di Vladimir Vasilev è stata esposta quest’anno per la prima volta in Bulgaria, alla galleria Synthesis di Sofia. Nel 2021 è uscito il libro Métamorphose, che Vasilev ha realizzato con il fotografo francese Pierre-Olivier Deschamps. Le immagini del volume sono state scattate tra il 2015 e il 2020 nella Samaritaine, poco prima che lo storico grande magazzino di Parigi riaprisse dopo un lungo lavoro di ristrutturazione.
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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati