Un uomo muore all’angolo di un minimarket in un quartiere popolare di Milwaukee, in Wisconsin, e tutto il mondo lo guarda. Emmett, questo è il nome dell’uomo che giace a terra, ha quarant’anni, l’aria saggia di un eterno bambino e tre figlie piccole che ha tirato su facendo diversi lavori. È nero e soffoca tra la luce dei lampeggianti e la fotocamera di uno smartphone, “un ginocchio tra le scapole, come se niente fosse”. Più che un’agiografia del defunto, è la storia di ciò che la morte di uno dei suoi abitanti provoca nella piccola comunità di Franklin Heights ad affascinare il romanziere haitiano Louis-Philippe Dalembert. Emmett era nato lì. Nel suo quartiere tutti pensano di sapere chi fosse. E a turno, capitolo dopo capitolo, gli rendono omaggio. Ci sono, in ordine sparso, l’ex maestra, una donna bianca arrivata a Milwaukee cinquant’anni prima, proprio insieme al movimento per i diritti civili; Ma Robinson, un’ex matrona diventata sacerdote che usa la parola come un bastone; Authie, da sempre innamorata del suo amico e arrabbiata con la donna che lo ha lasciato, spezzandogli il cuore. Lo scrittore è attento a dare a ciascuno dei suoi narratori una voce unica e disegna, tocco dopo tocco, un ritratto furiosamente bello di Emmett, che rimane in silenzio. E quando le grida si fanno più vendicative, la voce cruda e implacabile dell’agente di polizia Gordon arriva come un pugno nello stomaco. “La morte dell’uomo nero”, brontola infastidito, gli costerà la carriera e la vita familiare. Se il lettore non ha rotto completamente i contatti con il mondo contemporaneo, a questo punto avrà riconosciuto ciò che, come minimo, ha fornito a Louis-Philippe Dalembert la sua ispirazione: l’assassinio di George Floyd da parte dell’agente di polizia Derek Chauvin a Minneapolis nel maggio 2020. Il personaggio di Emmett, oltre a ricordare George Floyd, deve il suo nome a Emmett Till (il cui assassinio nel 1955 in Mississippi fu un evento trainante nella lotta afroamericana per i diritti civili) e alcuni dei suoi sogni a quelli che popolano i romanzi e la musica che il romanzo rievoca. Milwaukee blues è come la cerimonia funebre di Emmett, ma è anche una celebrazione della letteratura, e soprattutto dei testi emblematici della letteratura antirazzista.
Zoé Courtois, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati