Il Progetto genoma umano (Hgp), i cui risultati furono pubblicati vent’anni fa, ha rappresentato una svolta epocale nel campo della biologia. Il nome, però, è fuorviante. “Il” genoma umano non esiste. Esistono otto miliardi di esseri umani che condividono gran parte del dna, ma non tutto. Il genoma pubblicato dall’Hgp nel 2003 era ricavato da una decina di donatori di sangue anonimi di Buffalo e dintorni, nello stato di New York, negli Stati Uniti.
Il mondo, però, non finisce a Buffalo. È per questo che Nature ha pubblicato 47 nuovi genomi di riferimento ricavati da individui di quattro continenti (Africa, Asia, Nordamerica e Sudamerica). L’idea dello Human pangenome project (progetto pangenoma umano) è che sia meglio avere vari genomi di riferimento, che rappresentino il più possibile la diversità genetica dell’Homo sapiens.
Rispetto alle dimensioni totali del genoma la diversità è minima. Due persone scelte a caso condividono circa il 99,6 per cento del dna, ed è questa somiglianza che ha reso il genoma originale dell’Hgp così utile. Le sequenze di codice genetico note, infatti, hanno permesso di confrontare altri genomi per cercare eventuali variazioni, sia dannose sia benefiche.
Ma le poche differenze sono importanti. In seguito a una mutazione relativamente recente, per esempio, gli adulti con antenati dell’Europa settentrionale o di alcune zone dell’India e del Medio Oriente hanno più probabilità di altri di digerire il lattosio. Quale variante, quindi, merita di essere considerata standard?
Avere un unico genoma di riferimento può avere conseguenze mediche. I geni hla, per esempio, coinvolti nel funzionamento del sistema immunitario, hanno mutazioni associate a malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1. Da uno studio pubblicato nel 2015 è emerso che, dato che molte tecnologie di sequenziamento genico non sono precise, il confronto delle informazioni con l’unico genoma ha prodotto errori nel 20 per cento dei casi. Un altro studio afferma che il genoma di riferimento non ha permesso di cogliere i dettagli di alcune varianti genetiche, apparentemente associate al cancro, individuate in persone con antenati africani.
Metodi più accurati
Oggi che si sono affermati i kit per il test del dna fai da te, 47 genomi non fanno molta impressione. Ma le tecnologie esistenti producono risultati incompleti: si affidano alla lettura di brevi frammenti di dna e non funzionano bene con le sequenze lunghe e ripetute di un intero genoma. “Si perdono circa due terzi di alcune varianti genetiche complesse”, spiega Evan Eichler, genetista dell’università di Washington a Seattle, negli Stati Uniti. Il progetto pangenoma usa metodi nuovi e più accurati, che permettono ai ricercatori d’individuare varianti altrimenti impossibili da osservare e di capire meglio come nascono le mutazioni.
I nuovi genomi costituiscono quindi un notevole passo avanti, ma alcune lacune rimangono. Sono basati sul 1000 genomes project, una raccolta di campioni anonimi avviata nel 2008, in cui però scarseggiano le donazioni dalle isole del Pacifico e dal Medio Oriente. I ricercatori cercheranno di colmare le lacune, ma difficilmente riusciranno a campionare ogni angolo del pianeta allo stesso modo. Gran parte della diversità genetica umana si trova in Africa, la nostra terra ancestrale (gli abitanti del resto del mondo discendono da un gruppo relativamente piccolo che lasciò il continente tra settantamila e cinquantamila anni fa).
I ricercatori non catalogheranno ogni variazione genetica esistente. Sarebbe un’impresa titanica: come ricorda Tobias Marschall, genetista computazionale dell’università Heinrich Heine, in Germania, ogni bambino nasce con decine di mutazioni che i genitori non hanno. Secondo Benedict Paten, genetista dell’università della California a Santa Cruz e coautore della ricerca pubblicata su Nature, l’obiettivo è arrivare a 350 genomi di qualità, in modo da individuare la maggior parte delle variazioni genetiche esistenti. L’umanità avrebbe così un quadro molto più rappresentativo di uno dei suoi campi di ricerca preferiti: se stessa. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati