Migliaia di agricoltori spagnoli hanno occupato le strade del paese in una mobilitazione che rispecchia quelle in corso in altri stati europei. Le cause della rabbia del settore agricolo sono molte. L’aumento dei costi, unito alla pressione per non scaricarli sui consumatori finali in un periodo segnato dall’inflazione, ha alimentato la tensione tra la grande distribuzione e i produttori, costretti a lavorare in perdita o con margini di guadagno minimi.
Alcuni problemi sono locali: le conseguenze della siccità e la competizione per l’acqua con altri settori commerciali nei paesi mediterranei, la fine dei sussidi a causa d’impedimenti legali in Germania, la concorrenza ucraina nei paesi dell’est o quella dell’agricoltura nordafricana in Spagna. Altri sono globali. Le misure adottate per contrastare il cambiamento climatico comportano costi, trasformazioni e disequilibri difficili da giustificare quando colpiscono le categorie più deboli del sistema. Esempi di questi problemi sono la riconversione di terreni agricoli in parchi fotovoltaici o la necessità di rispettare norme da cui sono esentati i produttori extraeuropei, che approfittano degli accordi di libero scambio.
Oltre alle motivazioni strutturali ce ne sono altre più viscerali, che hanno contribuito a innescare il malcontento. Non tutte sono legate alla strumentalizzazione politica che sta cercando di trasformare gli agricoltori nel braccio armato del negazionismo climatico (evidente nel caso dell’estrema destra europea). Anche la comparsa di piattaforme di trasportatori con obiettivi politici sospetti non è sufficiente a cancellare le responsabilità dei governi. Certo, c’è una strumentalizzazione politica della polemica, ma è scorretto relativizzare la protesta sostenendo che non venga spontaneamente dai lavoratori e che sia pilotata dagli “imprenditori”. Molti manifestanti sono infatti piccoli proprietari stremati dagli obblighi burocratici e dalle normative, oltre che da una persistente condizione di precarietà.
È preoccupante che l’unico fronte in cui gli agricoltori stanno avendo una risposta sia quello della flessibilizzazione delle politiche ambientali, com’è successo con la rinuncia dell’Unione europea a ridurre l’uso dei pesticidi. Queste concessioni sono dettate solo da interessi elettorali a breve termine. Le soluzioni dovrebbero essere più profonde. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati