Se questa recensione fosse stata scritta vent’anni fa, avrebbe avuto bisogno di un’introduzione per spiegare come Alice Coltrane (nota anche come Swamini Turiyasangitananda) era molto più di “una proiezione terrena dello spirito di John”, come scrisse tristemente Amiri Baraka nel 1968 sulle note di copertina di A monastic trio, il debutto solista della musicista. Negli ultimi vent’anni il lavoro di Alice è stato rivalutato, sia grazie al suo ruolo spirituale sia grazie a una generazione più giovane di artisti come Angel Bat Dawid e Kamasi Washington, che hanno fornito nuove letture dell’eredità del jazz spirituale. Alice Coltrane è stata giustamente elevata ai livelli più alti del pantheon del jazz. Anche se la musica di Alice Coltrane ha bisogno di poca promozione da questo punto di vista, l’iniziativa Year of Alice, dedicata alla celebrazione della carriera della jazzista, è più che benvenuta, soprattutto quando porta alla luce gemme come The Carnegie Hall concert. Registrato a New York nel 1971, quattro anni dopo la morte di John Coltrane, il concerto segnò un momento cruciale nella carriera di Alice. Il suo disco Journey in Sat­chidananda era stato pubblicato solo pochi giorni prima e la performance del gruppo con il suo materiale nuovo di zecca è sicura e ispirata. Coltrane suona pianoforte, arpa e percussioni ed è affiancata da un cast di collaboratori di lunga data, tra cui Archie Shepp e Pharoah Sanders ai fiati. The Carnegie Hall concert è una registrazione ispirata e cruciale.
Antonio Poscic, The Quietus

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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati