Dopo il viaggio negli anni settanta con Daddy’s home, era inevitabile che Annie Clark sentisse di nuovo l’attrazione di sintetizzatori, chitarre sporche e modernixtà. Clark ha realizzato un disco più difficile del precedente, interamente autoprodotto e ispirato a un non meglio specificato trauma personale. Il folk rock britannico di Hell is near, in cui l’artista assume toni vocali in debito con Beth Gibbons, è un’apertura fuorviante. Nel secondo brano, Reckless, l’oscurità comincia a chiudersi, in una rappresentazione impressionistica del lutto. In Broken man, con le sue pulsazioni di sintetizzatori e la batteria sincopata di Dave Grohl, assume il ruolo di un macho che in realtà non è quello che sembra. Stilisticamente All born screaming oscilla follemente tra dream pop, prog, grunge, elettronica e industrial, creando un ascolto elettrizzante. La seconda parte del disco cerca la bellezza nel caos e nella tragedia. Sweetest fruit è un tributo all’artista elettropop scozzese SOPHIE, morta cadendo da un tetto ad Atene nel 2021 mentre cercava di fotografare la luna piena. Il supporto artistico viene dal bassista Justin Meldal-Johnsen (Beck, Nine Inch Nails) e da Cate Le Bon, che conferisce il suo tocco a una manciata di brani e guadagna un cameo vocale nella title track di quasi sette minuti, in cui lei e Clark sovrappongono una coda operistica a un ritmo da rave. Il finale dimostra ulteriormente che Clark ha un talento brillante e poliedrico.
Tom Doyle, Mojo
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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati