In una mensa per i poveri di Dongdaemun, un quartiere alla moda di Seoul, Kim Mi-kyung si prepara alla ressa per il pranzo. La mensa serve circa cinquecento persone al giorno, in gran parte anziani. “Non possono lavorare, non possono chiedere soldi ai figli e non hanno da mangiare”, dice.

La Corea del Sud è il secondo paese per tasso di povertà degli anziani tra quelli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Quasi il 40 per cento di chi ha più di 65 anni si trova sotto la soglia di povertà stabilita dall’Ocse, pari alla metà del reddito mediano del paese in cui si vive. In Giappone il tasso è del 20 per cento. La media Ocse è del 14 per cento. L’abbondanza di anziani e la mancanza di giovani nei due paesi, unite a mercati del lavoro che cambiano e sistemi pensionistici inflessibili, potrebbero aggravare il problema.

La soglia di povertà in Corea del Sud è di circa 22mila dollari all’anno (20mila euro), una cifra comunque superiore al salario medio in Messico. A questo va aggiunto che i sistemi pensionistici del Giappone e della Corea del Sud sono imperfetti. Quello giapponese risale al 1961 e ha offerto per molto tempo un’ampia copertura. Quello sudcoreano fu introdotto nel 1988, raggiungendo la copertura universale solo nel 1999. Il Giappone ha un sistema pensionistico a due livelli. Uno di base, con assegno mensile uguale per tutti, a cui si aggiunge un pagamento una tantum il cui importo dipende dagli anni di contributi. Il secondo è riservato a chi ha un impiego a tempo pieno: è il datore di lavoro a versare i contributi in base al reddito del dipendente.

Il sistema sudcoreano è simile: escluso il 30 per cento di chi guadagna di più, gli altri hanno diritto alla pensione di base. Nel 2022 era di 307.500 won al mese, circa 200 euro. Chi ha un buon impiego spesso ha anche una pensione privata.

Le persone che hanno avuto un lavoro regolare e una buona carriera possono contare su una pensione decente. Ma quella di base è scarsa: in Giappone con quarant’anni di contributi continuativi è di circa 65mila yen al mese (380 euro). I lavoratori precari hanno meno probabilità di versare i contributi con regolarità o addirittura d’iscriversi al sistema pensionistico.

Un secondo problema è che entrambi i paesi sono un disastro dal punto di vista dell’uguaglianza di genere. Le donne guadagnano meno e hanno più probabilità di avere un lavoro precario. Questo significa che le anziane sono più esposte al rischio di essere povere. Il sistema pensionistico giapponese è stato pensato per un modello di famiglia tradizionale formata da un capofamiglia che lavora e una madre casalinga. Le cosiddette coniugi dipendenti sono esentate dal versamento di contributi se guadagnano meno di 1,3 milioni di yen (circa 7.700 euro) all’anno, ma poi ricevono la pensione di base, quindi le coppie sposate hanno una pensione più alta rispetto al singolo lavoratore.

Precarietà

L’aumento dell’aspettativa di vita ha determinato un allungamento del periodo lavorativo. Il 49 per cento circa dei sudcoreani tra i 65 e i 69 anni lavora ancora, una percentuale che tra i paesi Ocse è seconda solo a quella del Giappone, che si attesta al 50 per cento. Per gli anziani giapponesi questa non è una soluzione perfetta, ma si è molto riflettuto su come rendere le loro occupazioni utili e soddisfacenti. Quasi il 40 per cento delle aziende del paese continua a dare lavoro a dipendenti con più di settant’anni e ciascun comune gestisce un centro per l’impiego per la terza età. Miyata Toyotsugu, un vedovo di 77 anni, lavora da dodici anni in un parcheggio per biciclette: “Se non lo facessi”, dice, “perderei tutti i miei legami”.

In Corea del Sud il sistema è più disordinato e spesso gli anziani svolgono lavori poco pagati e poco gratificanti. A questo si aggiunge la pressione esercitata sulle persone a lasciare abbastanza presto il loro impiego più importante, in modo che le aziende possano risparmiare sui contributi e approfittare di una liquidazione finale. Le pyejijupnun halmeoni, nonne che raccolgono cartoni, sono un simbolo di questa precarietà, con i loro carrelli pieni di scatoloni che rivendono per pochi spiccioli. Lee Young-ja, 78 anni, lo fa da quando ne aveva 68. L’affitto e le fatture dell’ospedale divorano i suoi esigui guadagni e tutto quello che riceve dallo stato.

La società giapponese è quella con più anziani: il 30 per cento della popolazione ha più di 65 anni. In Corea del Sud la percentuale è circa la metà, ma il paese sta recuperando in fretta il divario: nel 1960 il tasso di fertilità era di sei figli per ogni donna. Ora è crollato a 0,78, il più basso del mondo.

Transizione in corso

La quota di lavoratori rispetto ai pensionati sta mettendo il sistema sotto pressione. Il fondo pensionistico sudcoreano è cresciuto fino a diventare il terzo più grande al mondo, perché finora le persone che avevano diritto a ricevere una pensione completa non erano molte. Man mano che i nati durante il boom economico andranno in pensione, dopo aver versato contributi per una vita intera, e i lavoratori diminuiranno, il gruzzolo svanirà in fretta. Secondo le stime del governo, il fondo smetterà di crescere entro il 2040, ed entro il 2055 sarà vuoto.

Alcuni aggiustamenti potrebbero essere d’aiuto. La Corea del Sud sta alzando l’età pensionabile da 62 a 65 anni e oggi le aziende giapponesi sono incoraggiate a tenere i loro dipendenti fino ai settant’anni. I sudcoreani versano per la pensione solo il 4,5 per cento di quello che guadagnano, una percentuale coperta dai datori di lavoro. La media Ocse è più del doppio. Entrambi i paesi, inoltre, potrebbero eliminare le caratteristiche regressive dei loro sistemi pensionistici: il sistema giapponese si fonda sempre di più sulle imposte sui consumi invece che su quelle sul reddito, che permetterebbero di raccogliere di più dai redditi più alti.

Anche affrontare i bassi tassi di fertilità sarebbe utile. Invece l’immigrazione, una soluzione semplice per risolvere il problema della mancanza di giovani, è ancora un tabù nei due paesi. I politici devono cercare di convincere i cittadini che il lavoro non è una corsa alla pensione, ma un’ascesa tonificante seguita da una discesa più dolce. Il Giappone e la Corea del Sud hanno già cominciato questa transizione, con risultati alterni. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati