Sam, la protagonista di Ribelle, è insonne. Brucia per le vampate di calore. È dominata da quella che lei stessa chiama “misoginia della mezza età”: guarda le altre donne gettare la spugna o, peggio, cercare disperatamente di sconfiggere l’età sulle stuoie da yoga, con le loro mèche biondo cenere. Entra in gruppi Facebook tipo “Streghe, arpie e megere – gruppo di resistenza per ultracinquantenni”. Il suo climaterio (Sam preferisce il termine medico perché è più drammatico) arriva nel momento peggiore possibile: la salute di sua madre comincia a peggiorare e la figlia adolescente si allontana sempre di più. E non parliamo del marito, convinto che Sam abbia preso la recente vittoria elettorale di Donald Trump “in maniera troppo personale”. Proprio nel momento in cui la tipica eroina da romanzo americano affronta una crisi che dovrebbe portarla a una crescita spirituale, Sam se ne va di casa. Se dovessi fare uno schema di questa storia direi che è una reazione a catena. Quello che dà movimento al romanzo è una sorta di effetto domino dettato dal panico. Le scelte dei personaggi influenzano pesantemente le azioni altrui. Una parte della storia guarda avanti, l’altra conduce chi legge nel passato per vedere quali ferite hanno causato certe decisioni. Una parte del libro ci rimanda alla storia di Syracuse, nello stato di New York, dove si svolge il romanzo. Tutti i personaggi di Ribelle sono obbligati a chiedersi cosa li trattenga – i loro corpi, le loro case, le loro identità – e a capire come e dove fissare i loro confini. Sam si rivela una guida ideale: è ruvida, divertente, analitica e assolutramente imprevedibile. A volte i romanzi di oggi sguazzano nelle loro stesse teorie. Che bello trovare in un libro non solo rappresentazioni ideali delle cose, ma le cose stesse: descrizioni che stimolano i centri del piacere e una protagonista così esuberante e ricca di sfumature che sembra quasi di conoscerla in carne e ossa. “Era un rudere, ma era sua”, così Sam descrive la casa che ha rimesso a posto da sola, con orgoglio. Un rudere ma una cosa sua: la casa come il corpo e come il rapporto sballato con la sua città e il suo paese. Esasperata, insonne, improduttiva, pulisce la casa e fuma e improvvisamente da una finestra pulita vede “una festa di luci riflesse”.
Parul Sehgal, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati