A volte nelle situazioni più disperate alcuni trovano idee che danno senso alla loro esistenza. Questo è successo a Steve Happi. Nel 2018 quest’uomo con i dread più lunghi delle braccia si trovava nella prigione di Douala, in Camerun. Dopo la morte del padre, era nato un conflitto tra Steve e i suoi fratelli da una parte e la famiglia paterna dall’altra. A un certo punto Happi è stato addirittura accusato di aver ucciso il padre, ed è finito in prigione. Una storia degna di un film, che gli è costata due anni di carcere prima di essere scagionato. Ma è proprio durante questo soggiorno forzato che Steve ha incontrato Dione Roach, una giovane italo-australiana che lavorava per una ong. Roach aveva allestito uno studio di registrazione all’interno del carcere. Steve aveva sempre fatto musica, così ha cominciato a fare da supervisore ed educatore ad alcuni detenuti. “Fare canzoni in carcere ha una profondità e un potere del tutto particolare. Restituisce davvero dignità e speranza”, racconta Happi in un documentario realizzato da Roach. Sulla scia dello studio è nata anche un’etichetta, la Jail Time Records, che ha pubblicato queste produzioni nate dietro le sbarre, ma anche quelle realizzate dopo la detenzione. Happi continua a seguire i ragazzi quando escono. “Sono stato in prigione cinque volte”, dice uno di questi, Moussinghi. “L’ultima volta la polizia mi ha sparato e ci sono finito di nuovo. È lì che tutto è cominciato con Jail Time: ho cominciato a sperare”.
Pan African Music
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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati