Sono passati dodici anni dall’ultima uscita degli australiani Dirty Three e forse avrete dimenticato come suonano. Però se vi tornano in mente il violino evocativo di Warren Ellis, le tinte sfocate della chitarra di Mick Turner e la batteria di Jim White, forse non siete sulla strada giusta per ascoltare il loro nuovo lavoro. Ognuno dei sei pezzi riporta il titolo del disco, Love changes everything, e un numero, suggerendo che, pur variando per tono e timbro, fanno parte di una suite. Tuttavia, nonostante questa impostazione, la maggior parte del materiale sembra improvvisato. Ellis, Turner e White hanno imparato a concedersi un po’ di spazio anche se sanno ancora come ascoltarsi a vicenda. Questi brani mostrano senza dubbio una band rafforzata dall’esperienza. Anche se Love changes everything non suonerà sempre come vi ricordavate i Dirty Three, trasmette ancora la loro singolare intensità, riflessa e trasformata. A uno stadio della carriera in cui molti artisti preferiscono tornare alle origini, loro hanno preferito creare una nuova forma, impregnata della delicatezza e della forza fulminante che li caratterizza.
Reed Jackson, Spectrum Culture****Dirty Three

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati