Dal 2014 gli Spirit of the Bee­hive si sono affermati come maestri del collage e della sintesi, attingendo dal rock psichedelico, dal metal, dal post-punk e dall’industrial. Con il nuovo album continuano su questa traiettoria in cui convergono suoni diversi, oltre alla sensibilità pop. La loro estetica è basata su fertili contrapposizioni: il giocoso e il sinistro, l’eufonico e il cacofonico, l’ordine e l’anarchia. Let the virgin drive comincia con una melodia manipolata al vocoder e un’atmosfera da easy listening anni settanta. Poi si trasforma, diventando completamente strumentale e facendoci sentire come Neo di Matrix che ha appena inghiottito la pillola rossa. La band di Filadelfia discende da una stirpe che dedica la vita a dimostrare come i confini territoriali, tra generi o persone, siano arbitrari e innaturali. Possiamo considerare il loro lavoro il risultato delle ibridazioni del secolo scorso. Nella storia della sperimentazione troveranno posto come narratori che provocano la vita nel nuovo millennio.
John Amen, Pop Matters

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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati